lunedì 25 agosto 2025
Storia
La strage di Vergarolla
Una pagina tragica, occultata per decenni, su cui solo oggi si cominciano ad avere certezza

18 agosto 1946, la guerra è finita da poco più di un anno, c’è voglia di girare pagina, di dimenticare, ricominciare a vivere, di fare dello sport, avviare un’attività, fare dei bambini. Voglia di non pensare, di accantonare il dolore, sterilizzarlo nel passato, voglia di andarne fuori. Vincitori e vinti hanno sofferto, hanno pianto i figli che non torneranno più.



Pola è in una posizione particolare, in fondo all’Istria, circondata da territori occupati dagli jugoslavi, costituisce in quel periodo un’enclave italiana governata dalle forze armate britanniche per conto degli alleati. Pola è italiana per oltre il 90% e forse questo ha determinato la sua particolare situazione politico-amministrativa e alimentato la speranza, poi delusa, dei suoi abitanti di rimanere legati all’Italia. Sono territori che hanno patito duramente la fascistizzazione operata dal governo italiano dopo l’occupazione tedesca nel ’41 e, dopo il ’43, la pulizia etnica operata dalla dittatura jugoslava con deportazioni, arresti di massa da parte dell’OZNA (1), esecuzioni sommarie, infoibamenti di migliaia di persone. Pola in particolare ha sofferto i 40 giorni di “terrore titino” prima di essere affidata alla tutela dei britannici. Il destino della città non è ancora definito, non è ancora certo che Pola diventerà jugoslava e la popolazione non molla, sono tutti italiani, sono tanti e non vogliono accettare la condanna a quell’esodo che è già cominciato e che si protrarrà fino circa alla metà degli anni ’50.



E’ una bella domenica di sole quel 18 agosto e sulla spiaggia di Vergarolla è previsto un evento sportivo promosso dalla società canottieri Pietas Julia, gare di nuoto e di canottaggio. L’evento sportivo ha anche un valore politico come dichiarato dal quotidiano L’Arena di Pola e cioè quello di mantenere una sorta di legame con l’Italia, una manifestazione di italianità insomma. Sulla spiaggia centinaia di persone, principalmente famiglie con bambini, tutti italiani. La mattinata trascorre tranquilla tra le gare e i giochi dei più piccoli.



Nessuno dà importanza alla presenza sul bordo dell’arenile di 28 mine navali dimenticate lì dalla bonifica del porto di Pola (altre fonti dicono fossero bombe antisommergibile e testate di siluro). Sono lì da mesi e sono state disinnescate e successivamente ripetutamente controllate da tre squadre di artificieri, sia italiani che alleati, i bambini ci giocano a cavalcioni, nessuno se ne preoccupa, sono assolutamente inerti al punto di essere diventate parte del paesaggio.



Alle 14:15 circa, nel pieno della siesta, improvvisamente il botto. Nove tonnellate di polvere da mina. Tutta la città trema, l’edificio della Pietas Julia crolla, la nuvola di fumo nero si vede da chilometri e testimoni dichiarano di avere avuto i vetri rotti fino a 4 km di distanza. Nella confusione dei primi soccorsi appare evidente la portata della tragedia.



Delle persone più vicine all’esplosione non rimane nulla, solo brandelli di carne volati in mare e sulla spiaggia che i gabbiani si affrettano a ripulire. Solo 64 salme saranno identificate, altre bare saranno riempite di resti definiti “non ricomponibili”, una sarà riempita solo di giocattoli, si contano anche 5 “dispersi” non identificati. Almeno un terzo delle vittime erano minori, la maggior parte dei quali bambini. Nessuno saprà mai quanti furono i morti di Vergarolla, se ne stimarono circa 80, ma secondo un conteggio operato dal dottor Geppino Micheletti (2), eroe di quei giorni, dovevano essere tra i 110 e i 116 oltre a più di 200 feriti. Si dice che per mesi a Pola nessuno ebbe più il coraggio di mangiare pesce.



L’unica vera inchiesta successiva alla strage fu condotta dai militari britannici, più preoccupati di discolparsi, (erano stati accusati da certa stampa di negligenza nell’ inertizzazione e nella sorveglianza degli esplosivi) che di individuare gli autori della strage; nella relazione finale Il comandante della 24ª Brigata di fanteria britannica M. D. Erskine dichiarò che gli ordigni erano stati deliberatamente fatti esplodere da persona o persone sconosciute. Nell’esplosione rimasero feriti anche quattro militari britannici uno dei quali testimoniò di aver udito una detonazione e visto in seguito del fumo blu correre verso la zona delle mine. Alcune testate italiane riportarono la notizia della strage ma tra queste solo L’Arena di Pola si spinse ad avvalorare la tesi dell’attentato, gli altri si limitarono nella migliore delle ipotesi a citarne la possibilità. Merita menzione il comportamento del quotidiano ufficiale del PCI, L’Unità, preoccupato di difendere gli interessi jugoslavi contro gli angloamericani (alleati dei fascisti secondo loro) che accusò senza mezzi termini i militari britannici di essere responsabili della strage per non aver opportunamente inertizzato e rimosso il materiale esplosivo, avvalorando così la tesi dell’incidente, tesi che sopravvisse inspiegabilmente per decenni nonostante le prove e le testimonianze indicassero la tesi dell’atto doloso.



L’attentato contribuì non poco a fiaccare la resistenza psicologica degli oltre 30.000 abitanti di Pola. Nella memoria degli esuli l’eco dell’ecatombe di Vergarolla suona come una linea di demarcazione tra la possibilità di una difficile convivenza col futuro probabile regime titino e la necessità di abbandonare l’Istria, un ultimo monito teso a spingerli all’esodo, altra pagina tristissima della storia del nostro paese.



Dopo le prime notizie di cronaca l’eccidio cadde nell’oblio più totale fino circa alla metà degli anni 70 al punto che anche i figli degli esuli spesso ne ebbero notizia in età adulta. L’inchiesta promossa dai militari britannici rimase l’unica che si occupò del massacro limitandosi però a certificarne l’origine dolosa senza preoccuparsi di identificarne autori o moventi, nessuna indagine fu mai avviata dal governo De Gasperi nonostante la strage fosse stata perpetrata in territorio della Repubblica. Nella storia della Jugoslavia semplicemente il massacro di Vergarolla non esiste. Nel corso degli anni successivi, anche a seguito del crollo della Jugoslavia, pian piano la verità venne sempre più a galla pur se sussurrata, mai provata e spesso riportata a mezza bocca dagli esuli e dai sopravvissuti alla strage tanto che si arrivò ad avere forti indizi a carico di due agenti dell’OZNA: Giuseppe Kovacich e Nini Brljafa, quest’ultimo poi morto suicida.



La strage di Vergarolla è stato il più grave attentato nella storia della Repubblica in tempo di pace.





 



Fabio Dalla Vedova





 



(1) OZNA: Odeljenje za Zaštitu Naroda era il Dipartimento per la Protezione del Popolo, branca dei servizi segreti militari jugoslavi.



(2) il dottor Geppino Micheletti, nonostante avesse perso nell'esplosione i figli Carlo e Renzo, di 9 e 6 anni, il fratello e la cognata, operò per più di 24 ore consecutive nell’ospedale Santorio Santorio di Pola dove convergevano i feriti.




Indirizzo email: info@appunti.ru

Contatore visite: 828.210