venerdì 23 giugno 2017
Politica e economia
Destrutturazione della nazione
Si scrive jus soli, ma si legge finis Italiae

Dopo il primo via libera della Camera, il 15 giugno al Senato si è discussa la legge sullo Ius Soli.

In base alle nuove norme, si diventerà cittadini italiani solo per il fatto di essere nati sul suolo nazionale, eliminando così l’attuale criterio dello Ius Sanguinis, secondo il quale, invece, si diventa cittadini per discendenza.

La sinistra ha tentato di mascherare questa operazione di destrutturazione della Nazione italiana, per come l’abbiamo conosciuta fino a oggi, parlando di Ius Soli “temperato”, ma il passaggio focale rimane quello che dà il “diritto” a diventare cittadini italiani ai figli di coloro che abbiano un genitore residente in Italia da almeno 5 anni.

Attualmente, agli stranieri occorrono 10 anni per acquisire la nostra cittadinanza, a breve avremo migliaia di cosiddetti “nuovi italiani”, nell’arco di qualche decennio il volto stesso dell’Italia cambierà radicalmente e, se non interverranno fattori nuovi, assisteremo alla distruzione della compattezza etnica, storica e culturale del Paese, con un impatto disastroso sui sistemi sociale, sanitario, scolastico, del lavoro e culturale, già oggi pesantemente compromessi dai tagli adottati per pagare il debito pubblico contratto con le banche private straniere e dalle continue riforme liberiste. Gli ultimi arrivati pretenderanno diritti, accamperanno pretese di ogni tipo, economico, sociale e politico, senza avere in nulla contribuito alla realizzazione del nostro sistema di vita, senza avere alcun merito storico, senza aver fatto nulla, ma solo in forza di un pezzo di carta sul quale sarà scritto “cittadino italiano” al pari di chi per generazioni lo è stato veramente ed ha versato anche il proprio sangue per formare la Nazione.

Mancava ancora un tassello per realizzare il piano elaborato nei circoli mondialisti (come il Council for Foreign Relations, la Trilateral Commision, il Bilderberg Group e il FMI) che da anni lavorano incessantemente per distruggere ogni forma di Stato nazionale, di appartenenza a una comunità, di orgoglio etnico e religioso, di rigore dei costumi, d’indifferenza alle seduzioni di un materialismo senza limiti. Il tassello è quello di dare vita al “Melting Pot”, una grossa insalatiera dove amalgamare popoli di razze, culture e religioni diverse, per creare una società distopica, omogenea e indifferenziata (ben illustrata da autori come George Orwell e  Aldous Huxley), composta d’individui intercambiabili e omologati, ridotti al rango di “homo oeconomicus”, come lo definiva Julius Evola, cioè di un mero consumatore soggetto alle leggi del mercato, alle mode, alle libertà individuali più stravaganti e innaturali, individuo isolato in una massa docile, indifferenziata, facile da governare da chi detiene il potere economico e finanziario, essendo stato spogliato di ogni riferimento etnico, culturale, storico, religioso e delle radici stesse della propria terra.

Per determinare col tempo l’ibridazione dei popoli e delle religioni, allo scopo di realizzare più facilmente e più compiutamente progetti di dominio universale, sono state abolite non solo tutte le forme che potevano anche lontanamente essere considerate analogiche al razzismo, ma tanto più quelle che, essendo giuste e naturali, non avrebbero potuto essere condannate politicamente. Perciò, prima fra tutte, è stata inquinata e contrastata l’idea del possesso del proprio territorio, della propria casa, da parte dei diversi popoli d’Europa, individuando come stranieri gli abitanti di un altro territorio. Il concetto di diversità è stato abolito in quanto, con voluta falsità, è stato ritenuto implicito in quello di razzismo e, dunque, contro qualsiasi evidenza e contro l’uso della ragione e della logica, è stato imposto che nessuno debba vedere delle diversità fra un individuo e l’altro, tanto meno fra un popolo e l’altro. Una delle idiozie più care a questo genere di antirazzismo ipocrita è quella che enuncia: “esiste una sola razza, quella umana”, cioè una stupida generalizzazione ad effetto, che confonde, con consapevole ignoranza, la razza col genere. Le razze, invece, esistono ed è perlomeno stupido, oltre che non scientifico, negarlo. La natura ha provveduto a fornire carnagioni, capelli, struttura e fisico adatti a ciascun territorio, i figli somigliano ai genitori, i parenti si somigliano fra loro e, ugualmente, i membri di un popolo. Punto e basta.

Sono simili, seppure in una immensa varietà, anche le caratteristiche psichiche, intellettuali e il carattere dei membri di un popolo e non sarà sufficiente a impedire tutto questo un qualsiasi pezzo di carta che attesti la semplice cittadinanza e non la nazionalità, la etnia, di un soggetto.

Inoltre, nell’attuale contesto storico caratterizzato da un’emergenza immigratoria e una grave carenza demografica interna, voler cambiare le norme sulla cittadinanza significa solo spalancare le porte alla sostituzione etnica, alla disintegrazione dei legami sociali, alla distruzione della nostra cultura e della nostra identità, all’insorgere di gravi conflitti sociali sul modello francese o americano.

L’adozione di nuove norme sulla cittadinanza trova la sua unica vera giustificazione solo nei turpi calcoli utilitaristici delle cricche politiche colluse con il business dell’accoglienza e determinate a conservare il potere grazie all’apporto elettorale dei “nuovi italiani”.

Con criminale incoscienza queste forze sono pronte a fornire un ulteriore fattore di attrazione all’invasione africana che, col miraggio di una cittadinanza facile, incrementerebbe sicuramente i suoi arrivi, nella speranza di garantire a se stessa e ai propri figli un futuro da cittadini nella “ricca” Europa. Senza tenere in alcun conto le esperienze altrui, si verrebbero a creare anche da noi le stesse condizioni che hanno condotto in altri paesi europei, dove lo ius soli ha chiaramente fallito, alla nascita di seconde e terze generazioni di stranieri che non si sentono europei, spesso sono anzi animati da un rifiuto e un rancore antieuropeo. Interi quartieri di Parigi o di Bruxelles o Marsiglia sono di fatto già fuori dall’Europa. Non c’è stata alcuna “integrazione” di genti diverse in un orizzonte culturale europeo, c’è stata solo la disintegrazione della società autoctona per lasciar spazio a un mosaico male assortito di enclavi etniche e tribali spesso fuori legge. La cittadinanza sulla carta non ha creato alcuna cittadinanza reale. Anzi, lo ius soli ha portato alla creazione di una serie di avamposti stranieri, potenzialmente nemici, nei paesi europei nonostante i vari soggetti “radicalizzati” fossero apparentemente inseriti nei loro contesti sociali, avessero studiato e avessero lavori, amici, vita in comune.

A dimostrazione della forza dei legami profondi e ancestrali della razza e delle radici culturali rispetto alla pericolosa illusione di un pezzo di carta.

Roberto Bazzan

 




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