lunedì 10 aprile 2017
Storia
Lissa 1866
Uomini di ferro su navi di legno...

Se c'è una giornata nera nella storia della Marina Italiana non vi è dubbio che questa è il 20 luglio 1866. Come l'esercito ha avuto la sua Caporetto, la famosa battaglia combattuta sull'Isonzo e diventata il simbolo di tutte le sconfitte, così a Lissa, la Marina -è proprio il caso di dirlo - ha toccato il fondo.



Protagonisti sono gli stessi: da un lato le forze armate dell'Impero asburgico, dall'altro quelle italiane. Diciamolo subito, nel quadro della cosiddetta “terza guerra d'indipendenza” quella di Lissa fu una battaglia sostanzialmente inutile se si considera che l'Imperatore austriaco aveva già deciso di cedere il Veneto attraverso negoziati. La decisione di combattere nel Mare Adriatico fu interamente dell'allora governo italiano, ansioso di piazzare un colpo di propaganda utile a ridare fiato a un processo risorgimentale quantomai balbettante. C'era poi da vendicare la disastrosa sconfitta subita a Custoza poche settimane prima e così, quale migliore occasione di una battaglia in mare aperto dove la flotta italiana poteva contare su di una chiara superiorità rispetto a quella nemica.



Ma evidentemente i “padri della patria” avevano fatto male i loro conti, o meglio avevano sottovalutato una forza di mare come quella imperiale che per ovvie ragioni territoriali non aveva una straordinaria tradizione, ma pur sempre aveva ereditato da qualche decennio la formidabile flotta della Repubblica Veneziana. Era l'Imperial Regia Veneta Marina la cui sede di comando era Venezia con altri due dipartimenti dislocati a Trieste e a Zara. Questo corpo infatti era composto quasi interamente da veneti, istriani e dalmati con qualche triestino e fiumano, mentre la presenza austriaca era ridottissima.



A proposito della tracotanza italiana circa la superiorità della propria flotta non si può negare che le dieci super-corazzate armate di tutto punto rappresentavano , almeno sulla carta, un nemico difficile da battere per la marina imperiale. Per numero e stazza di navi e per l'artiglieria e i cannoni di cui poteva disporre, la flotta italiana sovrastava di gran lunga quella asburgica. Eppure i colpi di genio dell'ammiraglio Tegetthoff e la determinazione dei suoi ufficiali ebbero la meglio.



Ma non è tutto qui. La differenza la fece anche la disciplina dei due equipaggi: scarsa quella italiana, perfetta invece quella austriaca nonostante la presenza di nazionalità diverse e di tanti militari non certamente professionisti come i pescatori dalmati, molti dei quali indossavano ancora vestiti laceri al posto delle uniformi. L'ammiraglio austriaco Tegetthoff scriverà: “ Uomini di ferro su navi di legno hanno sconfitto uomini di legno su navi di ferro”.



Fu perciò un eccesso di sicurezza nei propri mezzi che all'inizio del luglio 1866 spinse il presidente del consiglio Ricasoli a scrivere al comandante della marina italiana Persano per ordinargli di annientare, entro una settimana, la flotta austriaca ed occupare l'Istria.



All'inizio l'ammiraglio Tegetthof non prese troppo sul serio le intenzioni degli italiani ma quando fu chiaro che le navi sabaude puntavano dritto verso Lissa, la flotta imperiale serrò le sue unità su tre linee con le corazzate in testa. La piccola isola del mare Adriatico, del resto, aveva una posizione strategicamente molto importante trovandosi a sole 36 miglia della costa dalmata, appartenente ai territori dell'Impero.



Il cuore della battaglia fu il duello tra la nave ammiraglia Re d'Italia e la corazzata Erzherzog Ferdinand Max. Quest'ultima centrò a più riprese la nave italiana con colpi di cannone e successivamente, grazie ad una abile manovra, riuscì a speronarla e provocarne l'affondamento. Nel giro di un minuto la nave simbolo della flotta italiana colava a picco e con essa il suo equipaggio composto da 400 uomini. Secondo fonti austriache il comandante della Re d'Italia, Faa di Bruno, una volta constatato che tutto era perduto si sparò un colpo alla testa.



Sorte analoga a quella della nave ammiraglia la subirono altre grandi corazzate come la Palestro che saltò in aria in seguito allo scoppio di diverse granate.



Ad ogni palla di cannone che colpiva le navi italiane i marinai asburgici gridavano a squarciagola “Per San Marco”. Com'è noto la lingua franca della marina austriaca era il veneto, perciò non deve stupire questo tipo di invocazione che peraltro si diffuse pure tra i marinai di nazionalità austriaca, i quali a loro volta, festeggiarono la vittoria ringraziando il santo protettore di Venezia.



Una beffa per i patrioti italiani e per il governo sabaudo convintissimi che questa battaglia si sarebbe trasformata in una sorta di passeggiata. Per quanto i marinai italiani abbiano combattuto valorosamente, in realtà si trattò di una disfatta su tutta la linea e già nelle primissime ore del pomeriggio di quel 20 luglio nelle acque di Lissa non c'era più traccia della flotta sabauda i cui resti stavano mestamente raggiungendo il porto di Ancona.



Davvero incredibile fu quello che accadde nelle ore successive. Forse a causa della vergogna per lo smacco subito, Persano ebbe la bizzarra idea di raccontare che a Lissa, pur subendo alcune perdite, era riuscito a mantenere il controllo delle acque. Praticamente l'ammiraglio aveva fatto credere a tutti che la battaglia si era conclusa a favore degli italiani. Per tre giorni in Italia si festeggiò il “trionfo”, salvo poi scoprire improvvisamente che si trattava di una clamorosa bufala e la nazione sprofondò nello sconforto.



Sottoposto a giudizio dall'Alta Corte di Giustizia, Persano venne condannato alle dimissioni e perse il grado di ammiraglio. Il comandante della flotta italiana pagò a caro prezzo la sua sfacciataggine e la sua imperizia visto che venne anche radiato dalla Marina e perse il diritto alla pensione maturato in 36 anni di servizio.



Ben diversa fu invece la sorte del suo omologo austriaco Tegetthof. Se la sua nomina a capo della marina austriaca aveva scatenato l'entusiasmo degli ambienti militari asburgici, la vittoria di Lissa lo trasformò in un eroe. A lui sono stati dedicati monumenti commemorativi in varie città dell'Impero e una di queste, Trieste, gli ha significativamente assegnato la cittadinanza onoraria.



La sua folgorante carriera dovuta alle sue rare capacità di stratega militare lo ha reso uno degli ufficiali più prestigiosi dell'era moderna. Il curriculum di combattente non ha tuttavia cancellato nella sua persona un tratto di profonda sensibilità umana. Scrivendo il suo rapporto sulla battaglia di Lissa, lo stesso Tegetthof non nascose il rammarico per non aver potuto completare il recupero dei naufraghi della Re d'Italia poiché la situazione della sua nave, ancora sotto attacco, imponeva la necessità di salvaguardare prima di tutto la sicurezza del proprio equipaggio.



Un'ultima annotazione. Quando si trattò di festeggiare la vittoria di Lissa con i suoi marinai, Tegetthof stappò alcune delle bottiglie di vino che si trovavano nella stiva della nave ammiraglia.



Un fatto del tutto normale che però non passò inosservato all'amministrazione del comando austriaco che pensò di decurtare dalla paga dell'ammiraglio l'ammontare equivalente al costo delle bottiglie consumate. Tegetthof non fece una piega e si guardò bene dal protestare. Anche questa è serietà!



 



Massimo Scorticati



 



 



 



 



 



 



 



 



 



 



 



 



 



 



 




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