martedì 17 settembre 2024
Politica e economia
IL REPORT DI MARIO DRAGHI E’ LA SOLUZIONE PER FERMARE L’AGONIA EUROPEA? PROBABILMENTE NO!
E’ un libro di sogni irrealizzabili, e forse è meglio che rimanga tale.

Ebbene, Mario Draghi ha emesso la sua sentenza: "l'Europa è destinata a una lenta agonia", se non rilancia la propria produttività e la propria capacità di innovazione per competere con Stati Uniti e Cina. Questo in soldoni è il risultato del ponderoso rapporto sulla competitività del Vecchio Continente commissionato der Leyen all'ex numero uno della Banca centrale europea. D'altronde non poteva esserci scelta migliore per tale compito se non l'uomo che a suo tempo con il "whatever it takes" salvò l'EURO dall'estinzione. Comunque, nel suo rapporto, Draghi ha chiesto una nuova politica industriale per l'Europa sostenuta da 800 miliardi di euro annui per finanziare rapidamente tutte quelle riforme indispensabili per non perdere ulteriore terreno nei confronti di Stati Uniti e Cina. Per fare ciò sarebbero necessari provvedimenti che vanno dalla riforma del sistema universitario e della ricerca, al cambiamento delle regole sulla concorrenza per favorire la concentrazione delle attività in alcuni settori, all'integrazione dei mercati dei capitali, alla centralizzazione degli organi di controllo e così via. Si tratterebbe in pratica di una vera e propria rivoluzione industriale che secondo Draghi sarebbe resa indispensabile dalla "sfida esistenziale che deve affrontare l'Europa”. Se tale sfida non sarà vinta il Vecchio Continente non sarà in grado di finanziare il proprio stato sociale, di mantenere i propri livelli di vita e la propria indipendenza.



Il report di Draghi è sicuramente una disamina dettagliata di ciò di cui il sistema economico del nostro continente avrebbe necessità per recuperare il terreno perso rispetto a quella statunitense ma è condivisibile? A modesto parere di chi scrive no, non lo è. Molto probabilmente non è nemmeno realizzabile e questo forse lo sa pure lo stesso Draghi; non per niente rimane molto sul vago quando deve spiegare come trovare 800 miliardi di euro all'anno per realizzare la grandiosa e indispensabile rivoluzione industriale. Probabilmente ha ragione l'economista Giulio Sapelli quando afferma: "E' un piano che contiene proposte accettabilissime che già gli economisti che criticano l'eccessiva politica dell'austerità europea sostengono da molto tempo, come la riduzione del debito senza diminuire la crescita. Per Draghi è un ritorno alle posizioni di quando era direttore della Bce. Mi pare continua Sapelli, solo un'operazione politica che la presidente Von der Leyen ha messo in campo per assicurarsi una maggioranza, ma non credo che tali proposte saranno implementate dalla macchina burocratica dell'UE che, invece, continua ad andare da un'altra parte.” Il report di Draghi insomma è un libro dei sogni destinato a rimanere tale. D'altronde forse non poteva essere diversamente e potremmo aggiungere forse è meglio così. Per capirlo è propedeutico ripercorrere brevemente gli eventi principali della carriera politica di Mario Draghi, i suoi incarichi istituzionali e non, il collegamento con il mondo bancario, della finanza e con le principali lobbies ed organizzazioni internazionali. Mario Draghi ha ricoperto, dall’aprile 1991 al novembre 2001, la carica di Direttore Generale del Tesoro italiano. Durante il suo mandato, egli ha inaugurato un evento che si è rivelato fondamentale, ed allo stesso tempo catastrofico, per la situazione economica del nostro Paese: ci riferiamo alla riunione sul Panfilo Britannia, svoltasi al largo delle coste laziali nel giugno 1992, per intenderci in piena epoca “mani pulite”. Mentre l’Italia si indignava per le malefatte dei nostri politici, i dirigenti delle più grandi banche, delle maggiori società finanziarie anglo-americane ed i manager delle principali aziende di Stato davano il via al periodo delle privatizzazioni dei gioielli del Bel Paese. Quel giorno, Draghi, da Direttore Generale del Tesoro, avrebbe detto agli ospiti d’onore: “Stiamo per passare dalle parole ai fatti”, per poi lasciare il Panfilo prima che questo salpasse per la riunione. Non a caso, dal 1993 al 2001, egli è stato Presidente del Comitato per le privatizzazioni italiano. Grazie soprattutto a Draghi il processo delle privatizzazioni italiane venne enormemente facilitato, ed il costo delle aziende di Stato drasticamente abbassato, a causa della speculazione a ribasso contro la lira, ad opera di George Soros nel settembre 1992. Qualche anno fa il Fatto Quotidiano ha pubblicato il discorso integrale che Draghi tenne agli ospiti d’onore presenti sul Panfilo della Corona inglese: egli era assolutamente consapevole dei “possibili effetti delle privatizzazioni sulla disoccupazione”, la quale ”potrebbe aumentare come effetto della ricerca dell’efficienza”, e del fatto che era proprio la “privatizzazione ad essere percepita come uno strumento per limitare l’interferenza politica nella gestione quotidiana delle aziende pubbliche”; l’allora Direttore Generale del Tesoro non si dimenticò di ricordare che i mercati vedevano “le privatizzazioni in Italia come la cartina tornasole della dipendenza del nostro governo dai mercati stessi”. Le parole pronunciate in quel contesto da Mario Draghi non lasciano spazio a dubbi: bisognava mettere da parte il benessere dei cittadini e la democrazia, per accomodare le pretese delle maggiori istituzioni finanziarie anglo-americane. L’ex numero uno della Bce è stato, dal 2002 al 2005, Vice Presidente e Managing Director di Goldman Sachs, con il compito di guidare, manco a dirlo, le strategie europee dell’istituto dalla sede di Londra. La stessa Goldman Sachs che ha avuto un ruolo determinante nella vendita massiccia dei Titoli di Stato italiani nella prima metà del 2011, vendita che provocò un drastico aumento dello spread seguito dal golpe bianco ai danni del legittimo governo italiano allora in carica. Mario Draghi è un degno rappresentante di quella visione neoliberista del mondo che vorrebbe ridurre la realtà, gli ecosistemi, e gli esseri umani stessi a semplici componenti di equazioni matematiche riportabili nei manuali universitari di economia. Ciò che conta è il Dio mercato, non è l’uomo. Con il neoliberismo viene, de facto, abbandonata quella visione antropocentrica della realtà, che mette l’essere umano al centro, affinché questo possa essere sostituito dal mercato, dove per “mercato” si intende quello finanziario, quello che consente all’1% della popolazione mondiale di detenere più del doppio della ricchezza netta posseduta miliardi di persone. Dunque ribadiamo: il report di Draghi rimanga pure nello scaffale dei libri dei sogni, nessuno lo rimpiangerà.



 



Urbano De Siato



 



 




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