venerdì 24 novembre 2023
Esteri
Sette ottobre 2023
Varie domande senza risposta. Conseguenze attuali.

Cosa sia successo realmente, intorno a Gaza, il sette ottobre scorso, lo sapremo probabilmente tra 50 anni quando qualche studioso coraggioso israeliano, come Ilan Pappe (1), frugando negli archivi recupererà i documenti ufficiali. O forse non lo sapremo mai. Ci restano, per farci una idea, non falsata dalla propaganda, alcuni fatti incontrovertibili e molte domande cui non possiamo dare una risposta univoca ma che dobbiamo porci, almeno per alimentare i dubbi sulla veridicità di quanto ci viene raccontato e che obbiettivamente non appare nemmeno verosimile. I fatti accertati sono pochi ma essenziali. Hamas non è più un organismo unitario ma si diviso in due correnti. Una fedele all’ideologia dei Fratelli musulmani guidata da Khaled Meshaal. L’altra concentrata sulla libertà della Palestina guidata da Khalil Hayya. Quest’ultimo ha riallacciato i rapporti con la Siria ed è stato ricevuto dal presidente Bashar al-Assad. Su input di Teheran, Hayya ha riallacciato anche i rapporti con l’Hezbollah libanese. Nel corso di alcune riunioni, tenutesi a Beirut, con tutte le componenti della resistenza palestinese venne concordata una azione di guerriglia da sviluppare ai confini di Gaza, allo scopo di catturare il maggior numero di ostaggi israeliani possibile, civili o militari che fossero, per poi scambiarli con le migliaia di palestinesi detenuti nelle carceri sioniste. A questa azione avrebbero partecipato tutte le organizzazioni della resistenza palestinese, esclusa Al Fatah. La direzione operativa venne assegnata ad Hamas e lo svolgimento venne pianificato a maggio in una riunione a Beirut, anche se Hamas la preparava verosimilmente da molto più tempo. Di queste riunioni la stampa libanese diede notizia già da allora mentre la data del 7 ottobre per l’esecuzione venne decisa autonomamente dai vertici di Hamas che ne informarono i militanti e gli alleati con un breve preavviso. Che un’azione di guerriglia ci sarebbe stata quindi era risaputo pubblicamente, Non si sapeva la datata ma quanto era stato deciso era noto sin dal maggio scorso. Il primo allarme ufficiale a Tel Aviv è venuto dal mukhabarat egiziano. Il Ministro della sicurezza del Cairo Kamal Abbas, nemico storico dei Fratelli Musulmani, avvertì personalmente i servizi israeliani una settimana prima dell’attacco, non precisando la data ma confermando che l’attacco ci sarebbe stato. Successivamente Il colonnello Yigal Carmon, direttore del Middle East Media Research Institute (Memri), ha avvertito direttamente il primo ministro Benjamin Netanyahu, suo amico personale, di un’imminente minaccia ma non venne ascoltato. La Central Intelligence Agency (CIA) ha steso due rapporti sulla preparazione dell’attacco. IL secondo, datato 5 ottobre, è stato inoltrato alle autorità israeliane. Tuttavia, il direttore dello Shin Bet (controspionaggio) ha convocato una riunione dei direttori centrali di tutti i servizi di sicurezza solo per il 7 ottobre alle 8 del mattino. Non ostante questi autorevoli avvertimenti, le autorità israeliane, il 5 ottobre hanno ritenuto privo di rischi spostare, vicino alla frontiera di Gaza un rave party, con la partecipazione di migliaia di giovani di molte nazionalità, inizialmente previsto in un’altra location. Quanto accadde il sette di ottobre, al netto della propaganda, è stato un vero bagno di sangue. Migliaia di morti fra gli israeliani, nei kibbutz, tra i militari e gli stranieri partecipanti al rave ma anche tra gli incursori dopo la reazione delle IDF (2). Quello che non è chiaro è a chi vada attribuita la maggior parte delle vittime. I Palestinesi, avendo come scopo la cattura di ostaggi erano armati alla leggera, quindi appare poco verosimile attribuire loro le distruzioni operate nei kibbutz, negli accampamenti militari e al rave. Secondo fonti autorevoli le IDF, intervenute in ritardo, hanno applicato il protocollo Hannibal che prevede che il fuoco sul nemico non debba essere condizionato dalla presenza di civili anche amici. I piloti degli elicotteri e gli equipaggi dei carri intervenuti hanno confermato di aver fatto fuoco con le armi pesanti in dotazione. Le notizie di massacri di bambini perpetrati dai guerriglieri nei Kibbutz sono state smentite prima dalla giornalista che le aveva diffuse poi dagli stessi militari israeliani e del resto le condizioni dei cadaveri davano l’idea di vittime di colpi di cannone o di missili Hellfire lanciati dagli elicotteri. Questi sono i fatti di quella giornata infernale. Restano le domande a cui non daremo risposta perché le risposte sarebbero una nostra mera opinione.



Come è possibile che i servizi Israeliani, notoriamente efficientissimi, non abbiano avuto autonomamente sentore di quanto si stava preparando da mesi, se non da anni, non ostante lo Shin Bet abbia centinaia di infiltrati in Hamas che ricordiamolo è nato, col favore di Tel Aviv, per spaccare i due la resistenza palestinese?



Come è possibile che gli avvertimenti venuti da fonti autorevoli come la CIA e il Memri, se non si vuole dar credito al governo egiziano e ai giornali libanesi, siano stati lasciati cadere nel vuoto?



Come è possibile che una barriera di confine tra le più difese del mondo, carica di sensori elettronici e visivi e dotata di punti di fuoco automatici, dei quali negli anni è stato vittima più di un ragazzino palestinese reo di essersi avventurato a meno duecento metri dalla rete di confine, sia stata sfondata ed attraversata in forze senza generare una risposta immediata delle forze armate israeliane?



Come è possibile che le autorità israeliane, notoriamente paranoiche in materia di sicurezza, dopo aver ricevuto una quantità notevole di avvertimenti su possibili atti terroristici abbiano deciso, il giorno stesso in cui ricevevano l’allerta della CIA, di spostare a ridosso della striscia di Gaza un evento a cui avrebbero partecipato migliaia di giovani inermi, di varie nazionalità, senza nemmeno prevedere un rafforzamento dei dispositivi di sicurezza nel settore?



Perché mai una operazione concepita per catturare un numero consistente di ostaggi, da scambiare con prigionieri palestinesi sia stata trasformata, da Hamas, in un massacro dato che notoriamente un ostaggio morto non ha più valore di scambio?



Questi i fatti e le domande a cui vanno aggiunti altri fatti scaturiti dalla reazione senza freni delle forze armate israeliane. In circa cinquanta giorni di controffensiva israeliana i morti civili a Gaza, al momento in cui scrivo, assommano, per difetto, a circa ventimila persone esclusi i dispersi e i feriti che moriranno perché gli ospedali non possono curarli a causa dell’assedio. Per dare un paragone con un altro assedio sanguinoso, i morti a Saraievo, dopo tre anni di bombardamenti e cecchinaggi dei Serbo\Bosniaci assommarono a poco più di dodicimila. La quantità di esplosivo riversato su un territorio, densamente popolato e urbanizzato, di quaranta chilometri per dieci, in questo periodo, è tre volte superiore a quello riversato dalle forze armate russe sul territorio di quattrocentomila chilometri quadrati dell’Ucraina in un anno e mezzo di conflitto.



Appare chiaro che la volontà dei sionisti al governo a Tel Aviv è quella di liberare il territorio dell’ex mandato britannico di Palestina di ogni presenza che non sia ebraica. A riprova di questo si noti che contemporaneamente alla operazione che si svolge a Gaza per spingere i suoi abitanti a rifugiarsi nel Sinai Egiziano, per mai più tornare, a Gerusalemme est si stanno, in modo fortunatamente meno sanguinoso, espellendo dalle loro case i cristiani del quartiere armeno mai coinvolti in qualsivoglia atto ostile contro gli ebrei.



Scipione Emiliano



1 Autore del testo: La pulizia etnica della Palestina. Fazi editore Roma “2008



2 Israeli Defence Forces




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