martedì 4 gennaio 2011
Storia
Un “piccolo” falso storico
Anche attraverso un canto si possono mandare messaggi che travisano la verità della storia.

Le rivolte antipiemontesi esplose nel Sud Italia durante il decennio 1860-1870 sono sicuramente una delle pagine più accuratamente nascoste dalla storiografia ufficiale. In particolare è ben difficile trovare un testo scolastico che dedichi loro un'attenzione, sia pur minima, o che citi le devastanti conseguenza di una repressione condotta all'insegna della “terra bruciata” e del “nessuna pietà per il ribelle”. Questo silenzio è perfettamente comprensibile. Una obbiettiva conoscenza dei fatti avvenuti in quel periodo nel nostro Meridione metterebbe necessariamente in crisi l'immagine del nostro Risorgimento costruita con decenni di propaganda e di falsificazione storica. Come si potrebbe spiegare il fatto che intere regioni del Sud si sono sollevate in armi per difendere i diritti di un Re che la storia ufficiale vuole impopolare e forcaiolo o giustificare i metodi repressivi dell'esercito sabaudo, metodi che avrebbero probabilmente suscitato qualche perplessità persino tra i ranghi dell'esercito di occupazione sovietica in Afghanistan o tra gli ufficiali di un battaglione di ss? Sarebbe oggettivamente un'impresa improba e questo renderebbe ben poco credibile la vulgata di un esercito di liberatori (garibaldini e piemontesi) accolto a braccia aperte da un popolo finalmente libero dalle catene di un regime assolutista e feudale. Eppure piano piano, anche grazie ad internet, la verità ha incominciato ad emergere. Si moltiplicano i siti che conducono una puntuale revisione storica di quel tragico periodo e, di conseguenza si è riacceso l'interesse su coloro che la storia ufficiale aveva liquidato con il termine di “briganti”. Stiamo parlando di quelle decine di migliaia di uomini (ma anche donne) degli Abruzzi, della Basilicata, della Calabria che si sono battuti per cacciare quello che era oggettivamente un invasore: l'esercito piemontese. Racconteremo in altra occasione -magari grazie all'aiuto di qualche nostro amico del Sud- la loro epopea, ragionando anche sulle cause che hanno portato alla loro sconfitta. In questa occasione voglio invece segnalare e commentare un “piccolo” falso storico che è stato compiuto ai loro danni. Esiste una canzone, conosciuta con il titolo “Briganti se more”, di cui vale la pena riportare buona parte del testo per poter comprendere il seguito del discorso. O meglio riportare uno dei due testi in circolazione perchè in realtà ne circola un altro, praticamente identico se non per due sole parole. Vediamo il testo della canzone, lo riporto in dialetto lucano (credo) perchè se l'ho capito io non credo che anche gli altri amici “polentoni” avranno delle difficoltà mentre i nostri lettori meridionali ci andranno ovviamente a nozze.
Briganti se more
Ammo posato chitarra e tamburo
perchè sta musica s'adda cagnà
Simmo briganti e facimmo paura
e cu'a scupetta vulimmo cantà
E mo cantammo una nova canzone,
tutta la gente l'addà imparà
nui cumbattimo per il re Burbone
la terra nostra nun sa da tuccà
(…)
Omo se nasce, brigante se more,
ma fino all'ultimo avimmo sparà
e se murimmo menate nu fiore
e na preghiera per sta libertà
Come dicevo vi è una seconda versione del canto, proposta dal cantautore Eugenio Bennato, che differisce da quello sopra riportato solo in due parole, sufficenti però a stravolgere completamente il significato di tutto il brano: al posto di “nui cumbattimmo per il re Borbone” Bennato canta “Nun ce ne fotte de u re Burbone” ed al posto di “na preghiera per sta libertà” si può ascolta “na bestemmia per sta libertà”. Ecco quindi che un canto di legittimisti cattolici diventa un inno antiborbonico addirittura con un invito alla bestemmia.
Bennato sostiene di essere il vero autore del brano e che quindi la versione da lui eseguita è quella originale mentre le varianti sarebbero opera di gruppi neo-borbonici. Altri fonti però lo smentiscono sostenendo che il canto risalirebbe proprio al periodo del brigantaggio e sarebbe stato conosciuto soprattutto in Basilicata con il titolo “la libertà”. Non entro nel merito della diatriba sull'origine della canzone (anche se sono molto tentato dal credere agli amici neo-borbonici). Non ritengo importante l'accertamento sul vero autore del brano perchè comunque Bennato (e quelli che cantano la sua versione di “Briganti se more”) ha compiuto un'opera di falsificazione della storia. Se il brano è effettivamente di origine ottocentesca si tratta di un falso materiale. Sono state cambiate due parole per rovesciare tutto il significato della canzone. Se il brano è stato composto dallo stesso Bennato egli ha voluto attribuire agli insorti antipiemontesi un odio verso i Borboni ed un disprezzo per la religione che non corrisponde assolutamente alla verità storica.
Non vedo una sostanziale differenza tra le due ipotesi, potremmo parlare di "falso" materiale nel primo caso e di "falso" ideologico nel secondo.
Mi rallegro comunque per il fatto che su internet (youtube) la versione, per così dire, “legittimista” ha avuto molti più contatti di quella “bennatiana”. Forse è un segno che i tempi sono maturi per riscrivere una pagina della nostra storia facendo finalmente emergere la verità. E se in questo modo vedremo crollare qualcuno dei nostri miti pazienza. Siamo sopravvissuti alla notizia che non è Gesù Bambino a portare i regali di Natale (anche se in realtà Egli un Regalo lo porta davvero) sopravviveremo anche alla scoperta che i Meridionali (ma anche i Lombardi, i Veneti, i Toscani ecc...) non se la passavano poi tanto male neppure prima dell'arrivo dei “liberatori”...

Fabio Pretari



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