mercoledì 7 giugno 2023
Storia
La rivolta dei Tuchini
Una pillola di medioevo

Non c'è epoca storica che sia stata mai descritta a tinte fosche come il Medio Evo: i secoli bui,così viene definito un periodo storico che si fa partire convenzionalmente nel 476,con la caduta dell'impero romano d'occidente e si fa terminare nel 1492 con la scoperta dell'America. Mille anni durante i quali la popolazione europea è stata vessata senza sosta da una casta di nobili che la schiacciava nella miseria e nell'ignoranza.



Nulla di più distante dalla verità storica: se analizziamo i rapporti,semplificando,tra le due classi sociali del popolo e dei feudatari, vediamo che le cose non sono affatto come ci è stato insegnato.



Prendo come riferimento il basso medioevo,  epoca di cui abbiamo una notevole mole di documenti storici; l'immagine che ne esce è quella di una società organizzata in cui la vita politica non è prerogativa esclusiva dei governanti,il popolo ha i suoi rappresentanti che sono in grado di farsi portavoce delle esigenze e delle necessità della comunità.



I rapporti non sono facili ma sono chiari: il feudatario,in quanto titolare del potere, impone tasse e pretende prestazioni gratuite. Ogni tanto,poi,a questi oneri si aggiungono le cosiddette “taglie”,cioè tasse “una tantum”,diremmo noi,a discrezione del signore:il matrimonio della figlia, una campagna militare, il riscatto di prigionieri, per tutti quegli eventi,insomma, a cui ci si trova improvvisamente a far fronte.



In cambio di tutto ciò il feudatario si occupa dell'amministrazione della giustizia e della difesa della popolazione.



Capitava,però,e anche spesso, che una eccessiva tassazione non fosse affatto gradita,e che si rendesse necessario andare a discuterne con chi di dovere. I momenti migliori erano quando il feudatario aveva bisogno di moneta, perchè col soldo in mano si riusciva a contrattare al meglio.



E così si redigevano “statuti” che consentivano di mettere in chiaro quali e quante tasse pagare,così che non rimanessero a discrezione del signorotto del caso. Spesso si riusciva ad ottenere anche qualche “franchigia”, cioè l'abolizione di tasse ormai senza senso o presenti solo in questo o quell'altro feudo.



Era dunque così che andavano le cose,in linea di massima. Fa ridere? Forse,ma a me farebbe più ridere se qualcuno, al giorno d'oggi,pretendesse di discutere nello stesso modo e sulla stessa materia con un funzionario del ministero delle finanze;provare per credere.



Chiaramente non sempre tutto andava nel migliore dei modi;capitava che non ci si trovasse d'accordo e che la discussione degenerasse in aperto litigio o in una vera e propria rivolta,con tutte le conseguenze del caso.



Avvenne così,per esempio,alla fine del XIV secolo,tra il 1385 e il 1391,nel Canavesato, terra di Piemonte, controllato dalle famiglia dei Valperga e dei San Martino.



Pomo della discordia il rifiuto da parte dei signori di cancellare una legge ormai presente solo in quelle terre che stabiliva che in assenza di un erede maschio i possedimenti di una famiglia sarebbero passati al feudatario. Il senso della cosa era di evitare che nel caso l'erede femmina avesse sposato un forestiero, i terreni e le conseguenti rendite passassero nelle mani di altri signori.



Non riuscendo a far valere le proprie ragioni in loco,le varie comunità si unirono fra di loro e inviarono i loro rappresentanti a parlare con un'autorità superiore a quella locale,nientemeno che Amedeo VII di Savoia,il Conte Rosso. E si, perché sebbene il Canavese fosse terra del Marchese di Monferrato, alcuni castelli con relativi terreni erano di proprietà sabauda, ed in essi questa iniqua tassa era stata abolita da tempo.



Amedeo VII,uomo più votato alla guerra che al governo,ricevette popolani e nobili insieme e,ascoltate le loro lagnanze,nominò una commissione mista per dirimere la questione.



Ci fu però un particolare della faccenda che al Signor Conte non andò giù: giustissimo che le singole comunità si organizzassero per far valere i propri diritti,ma che si unissero fra di loro senza alcun permesso contro i nobili non era tollerabile.



Risultato: nell'attesa della definizione delle questione ogni comunità venne multata in maniera salatissima,per un totale di 34.000 fiorini, per l'epoca una cifra mostruosa. E così i rappresentanti delle varie comunità dovettero tornare al paese a spiegare che per quanto riguardava le loro richieste bisognava aspettare, ma nel frattempo c'era una cospicua multa da pagare.



Nel giro di qualche giorno il Canavese prese fuoco,la rivolta fu pressoché totale, ne restarono esclusi pochissimi centri,che portarono nei secoli l'onta della vergogna e della codardia  (Ancora oggi,nella pagina storica di uno di essi ci si scusa per la cosa)



E' la rivolta dei Tuchini,dei contadini del Canavese; perché “Tuchini”? Non si sa:qualcuno dice che sia una derivazione da Tuc un,tutti per uno,ma è più probabile che il nome sia derivato dal francese,nome con cui erano stati chiamati i protagonisti di una rivolta in Provenza.



Ora,non fu certo un bagno di sangue: in qualche anno di insurrezione si contarono due morti,il signore di Montalenghe e signora,e uno stupro ai danni di una nobildonna. La cosa più significativa fu che ben otto castelli vennero conquistati(i relativi signori erano già fuggiti a gambe levate), e si decise che in quei territori la popolazione si sarebbe governata da sé in piena autonomia da qualsiasi superiore autorità. Dopo poco tempo capirono però che soli,in quel mondo,non si poteva stare, qualcuno sotto la cui protezione mettersi bisognava averlo; e così si cominciò a cedere alle lusinghe del Marchese del Monferrato,che si dimostrò molto ben disposto nei loro confronti. Il Conte Rosso,saputo della cosa,si incontrò con il Marchese e gli fece presente come un precedente simile avrebbe rappresentato un serio pericolo in futuro: era intollerabile che il popolo avesse la possibilità di agire impunemente contro i nobili e farla franca. Decisero allora di rimettere ogni decisione nelle mani di un'autorità superiore alla loro e si rivolsero a Gian Galeazzo Visconti,signore di Milano. I giuristi del Duca esaminarono scrupolosamente la questione e dopo qualche anno stabilirono che i nobili che volontariamente si erano in passato votati al marchese del Monferrato potevano rimanere sotto il suo potere,ma le popolazioni ribelli nei feudi del Conte Rosso non avevano il diritto di cambiare bandiera,e dunque il marchese doveva restituire le nuove acquisizioni al legittimo governatore;in altri termini:scarico' di punto in bianco i rivoltosi.



Alla fine del 1390 il Conte Rosso entra nel Canavese,espugna con la forza Cuorgnè e riceve subito la resa di tutti gli altri comuni ribelli.



Rispetto alle rivolte contadine dell'epoca, che in alcuni Paesi contarono migliaia di morti,qui il bilancio fu decisamente inferiore:sette impiccati a Cuorgnè, uno a Ivrea,e pochi altri dopo una serie di dettagliatissimi processi.



Il punto era un altro: ad Amedeo VII non interessava fare dei morti,ma fare dei soldi. Il risarcimento venne conteggiato nei minimi particolari,incluse le spese per le corde degli impiccati,ma,alla fine,la cifra totale fu di 27.000 fiorini,cifra enorme ma inferiore ai 34.000 fiorini della multa che aveva comminato qualche anno prima. Infatti,per volere del Conte in persona,tutto quello che era successo venne cancellato, dimenticato,seppellito; i castelli e i feudi tornarono ai legittimi proprietari.



E per quanto riguarda il diritto di mantenere i beni anche in assenza di figli maschi? Non se ne parlò espressamente,ma in un documento successivo di qualche anno ai fatti in questione si legge che il Marchese di Monferrato concedeva alle famiglie di un suo feudo il diritto di mantenere i loro bene anche in assenza di eredi maschi ”in quanto unico feudo nel Canavese a non goderne ancora”.



Cosa dire? Si sarebbe potuto risolvere la faccenda in santa pace fin dall'inizio? Probabilmente si.



Come ho già detto,all'epoca i diritti si potevano ottenere con la trattativa,col denaro o con la forza;in questo caso il popolo capì che,tutto sommato,qualche volta usare la forza conviene.



Noi, che viviamo nell'epoca della luce, o non lo abbiamo ancora capito o non abbiamo le palle per farlo.



 



Claudio Pretari




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