lunedì 21 dicembre 2009
Storia
Colpo mortale alle forze navali britanniche nel Mediterraneo
Diciannove dicembre 1941, incursori della Decima Flottiglia Mas affondano nel porto nemico due corazzate ed una petroliera. La flotta inglese nel Mediterraneo priva di navi da battaglia.    













A guidare la Decima Flottiglia Mas, dopo il comando interinale di Valerio Borghese, fu chiamato il capitano di fregata Ernesto Forza. Veniva da Augusta, dove aveva comandato la Flottiglia Mas. In un’azione audacissima nel Canale di Sicilia, contro un convoglio inglese, aveva meritato la medaglia d’Oro al valor militare.
L’azione contro Alessandria, la più importante base navale nemica del Mediterraneo Orientale fu preparata con ogni cura.
Valerio Borghese avrebbe condotto il sommergibile Scirè fino alle ostruzioni del porto. Il sommergibile sarebbe partito da La Spezia e dopo una lunga navigazione, attraverso lo Stretto di Messina avrebbe raggiunto l’isola di Lero, nostro possedimento nel Dodecanneso.
Tre erano le coppie di incursori che avrebbero guidato il siluro esplosivo, ospitato nello Scirè, fin dentro il porto di Alessandria. La scelta non era stata facile perché tutti gli incursori della Flottiglia avrebbero voluto partecipare all’azione, anche se essi non sapevano dove e quando.
Questi i nomi dei prescelti: tenente di vascello Luigi Durand De La Penne con il capo palombaro Emilio Bianchi; capitano del genio navale Antonio Marceglia con il sottocapo palombaro Spartaco Schergat; capitano delle armi navali Vincenzo Martellotta con il capo palombaro Mario Marino.
La partenza avvenne il 3 dicembre del 1941. Segretezza assoluta. Nessun uomo dello Scirè sa quale sia lo scopo della missione.
Fuori dal porto, quasi notte, un barcone si accosta. Porta i tre siluranti esplosivi 221 – 222 – 223 appena usciti dall’officina militare di S. Bartolomeo per la migliore messa a punto. Gli incursori che dovranno pilotarli fino alla nave nemica da attaccare, li conoscono a fondo perché è lo strumento personale delle loro prolungate, scrupolose esercitazioni. Sistemati i siluri nell’apposito cilindro, lasciano il sommergibile e tornano a La Spezia. Raggiungeranno lo Scirè, via aerea, quando Borghese attraccherà a Lero.
Il sommergibile naviga sulle rotte prestabilite, ma quando sfiora la costa siciliana, a Capo Peloro, ecco la sorpresa: il semaforo trasmette in chiaro con la lampada da segnalazione: “sommergibile Scirè”!
La segnalazione indigna il comandante Borghese ed insinua il sospetto che qualcuno avesse interesse a far sapere che lo Scirè, l’unico sommergibile italiano attrezzato per il trasporto dei mezzi d’assalto, era in navigazione, in Sicilia. Il segreto della missione, mantenuto con tanto scrupolo perfino con l’equipaggio del sommergibile, era svelato o, nel migliore dei casi, trattato con imperdonabile leggerezza.
Fuori le acque di Messina, all’altezza del Faro di S. Ranieri, si avvicina un’imbarcazione della Marina. Un ufficiale consegna un plico a Borghese. E’ Supermarina che comunica la situazione del naviglio nemico in mare. Marina Messina subito dopo, avverte che sotto Capo dell’Armi si è rivelato un sommergibile nemico con il lancio di siluri contro un nostro convoglio.
 
Di nuovo in mare aperto. Lo Scirè incontra rottami di ogni genere, comprese cinture di salvataggio: un nostro convoglio era stato sorpreso dal nemico qualche giorno prima. Non era quello della segnalazione di Messina, a dimostrazione come gli inglesi interferissero con forte pressione contro il nostro traffico navale.
Il 9 dicembre, sei giorni dopo la partenza, il sommergibile Scirè arriva a Lero ed entra a Porto Lago, un’insenatura naturale profonda e protetta da alte montagne rocciose.
Lero pullula di greci e bisogna usare precauzione. Il sommergibile è coperto da grandi teloni, come se fosse in avaria e dovesse essere revisionato.
Intanto sei tecnici arrivati via aerea dall’Italia procedono al definitivo approntamento dei “maiali”.
Gli incursori arrivano con un volo del giorno 12. Vengono ospitati dalla nave-trasporto Asmara. Il giorno dopo il comandante Borghese li va a trovare ed ancora una volta esaminano insieme le carte del porto e valutano le informazioni arrivate da Roma.
Nel frattempo accade un fatto curioso. L’ammiraglio Biancheri, comandante di Marina Egeo, arriva a Lero da Rodi e chiede a Borghese che gli incursori compiano delle esercitazioni in sua presenza.
Sconcerto del comandante dello Scirè, ma suo fermo diniego: la facoltà di dire no quale comandante superiore in mare. Biancheri commenta il rifiuto con queste parole: “non farete nulla di buono perché a corto di allenamento”. Opinione senza fondamento considerato l’alto grado di preparazione tecnica e morale di tutti gli incursori della Decima, ed in modo particolare, al presente, dei sei prescelti da Forza e da Borghese.
Le notti sono ormai completamente oscure: è il periodo favorevole di luna.
Borghese decide di partire il 14. Lo Scirè è in contatto con il comando che da Atene deve fornire informazioni continue: esplorazione aerea, bollettino meteorologico, presenza del nemico in mare.
Il sommergibile Scirè dovrà portarsi ad un punto stabilito davanti al porto di Alessandria, e da lì, dal fondo dove si sarà posato, rilasciare le tre coppie per l’attacco.
I tre siluri esplosivi percorreranno il breve tratto che li separa dalle ostruzioni retali, le dovranno superare e quindi dirigersi verso il bersaglio assegnato dal comandante Borghese.
Lasciato Lero, la navigazione verso Alessandria si svolge regolarmente, in immersione di giorno, a galla di notte per la carica delle batterie e per la rigenerazione dell’aria di bordo.
Il compito del sommergibile è delicatissimo: deve avvicinarsi il più possibile senza destare il minimo sospetto, il che vorrebbe dire caccia spietata e fine della missione. Deve sperare, poi, di non incappare negli sbarramenti di mine, presenti a difesa del porto, come da segnalazioni. Affidarsi un po’ alla sorte, ma la sorte deve essere aiutata da un comando attento ed esperto.
Dal “Rapporto di missione” scritto dal comandante dello Scirè: “In seguito al mare grosso e alla mancanza di notizie precise sulla consistenza delle unità nemiche in porto, decido di rimandare l’azione di 24 ore, portandola dalla notte tra il 17 ed il 18, alla notte tra il 18 e il 19”.
Atene, la sera del 18, dà finalmente le notizie attese con ansia: nel porto di Alessandria sono presenti due navi da battaglia.
Valerio Borghese porta il suo sommergibile, che ha navigato a 60 metri di profondità, man mano che si avvicina alla meta, sul punto stabilito, a miglia 1.3 per 356° dal Fanale del Molo di ponente del porto di Alessandria.

Lo Scirè è fermo. L’esplorazione con il periscopio dà buio totale. Sale a fior d’acqua per consentire l’apertura del portello e la fuoriuscita degli incursori con i loro “maiali”. Il comandante è in plancia: notte profonda, mare calmo. Con il binocolo osserva il porto vicinissimo, il sommergibile è fermo esattamente dove si voleva che fosse: un risultato eccezionale dopo 16 ore di navigazione cieca.
Gli incursori sono pronti.
Salgono la scaletta a uno a uno, stretti nella tuta nera, con l’autorespiratore. Scompaiono nel buio della notte e del mare.
Lo Scirè ridiscende in profondità. Si allontana lentamente. Poco dopo, a qualche miglio dalla costa, Borghese decide di riaffiorare. Scruta di nuovo verso il porto e vede che il Faro di Ras el Tin è acceso. Il Faro è all’imboccatura del porto. Accese sono anche le luci che prima, all’esplorazione con il periscopio, erano spente. Quelle luci, evidentemente, sono state accese perché all’imboccatura vi è movimento di naviglio.
Così è, infatti.
Gli incursori, lasciato il sommergibile, hanno puntato alle ostruzioni. Sono fermi in attesa di superarle. Ma improvvisamente esse vengono aperte.
Con immediata decisione gli incursori puntano all’ingresso e “passano” infilati tra le navi nemiche in entrata.
Sono in porto.
Si sono persi di vista, ma ognuno sa a cosa deve puntare: Durand De La Penne la nave da battaglia Valiant; Marciglia la nave da battaglia Queen Elisabeth; Martellotta la ricerca della portaerei che fa parte della squadra, se in porto, oppure un grosso mercantile.
De La Penne e Bianchi si avvicinano al bersaglio. All’ormeggio previsto scorgono la grande massa scura della Valiant, nave da battaglia di 32 mila tonnellate. E’ protetta da uno sbarramento retale antisiluri, che superano in superficie. De La Penne e Bianchi si trovano a 30 metri dalla Valiant. Con un lieve urto abbordano la nave, ma nella manovra per portarsi sotto la carena, il siluro si appesantisce e va a picco in 17 metri di fondale. De La Penne lo raggiunge, ma si accorge di aver perduto il suo secondo, Bianchi. Torna a galla per cercarlo, ma non lo trova. Abbandona Bianchi al suo destino e ritorna al “maiale” cercando di metterlo in moto. Fatica inutile.
Decide allora di trascinarlo. Non c’è altro da fare. Aiutandosi con la bussola, tenta di smuoverlo ed orientarsi. Guadagna qualche centimetro, nel fango del profondo.
La maschera di respirazione è difettosa, i vetri degli occhiali sono appannati. Stremato, l’incursore avanza lentissimamente. Sente, vicini, i rumori della nave, uno soprattutto, quello di una pompa. Va verso quel rumore, urta contro lo scafo.
Valuta la posizione, ritiene di essere al centro della carena, zona ottima per provocare il maggior danno.
Avvia la spoletta dei detonatori di scoppio secondo le consegne: l’esplosione deve avvenire alle 5 in punto.
Risale e si libera della maschera. L’aria pura gli ridona le energie.
Si allontana, nuotando lentamente. Ma una voce lo chiama, si accende un proiettore, una raffica di mitraglia gli dà l’alto là.
Ritorna allora verso la nave, raggiunge e si issa sulla boa di ormeggio della Valiant. Qui trova Bianchi che, svenuto, ma salito a galla a pallone, si era nascosto nella boa per non disturbare con l’allarme il lavoro del suo capo pilota.
 
Sono le 3.30, si avvicina un motoscafo. I due incursori vengono condotti a bordo della Valiant.
Primo interrogatorio: da dove vengono? Chi sono? Ovviamente silenzio da parte dei due. Sorrisi ironici degli inglesi e frasi di scherno per la fallita missione degli italiani, che hanno soltanto presentato il tesserino militare.
Dalla Valiant vengono portati a terra, in una baracca, e minacciati da un ufficiale con la pistola in pugno. Di nuovo assoluto silenzio.
Alle quattro vengono riportati sulla Valiant. Il comandante, capitano di vascello Morgan, vuole vederli. Li interroga, ma al loro rifiuto di rispondere, li fa rinchiudere in una cala, non molto lontano dal punto in cui ci sarà lo scoppio, secondo le valutazioni di De La Penne.
A dieci minuti dall’esplosione De La Penne chiede di parlare al comandante. Viene portato in sua presenza. Lo avverte che la nave sta per saltare, che, se vuole, può mettere in salvo l’equipaggio.
Morgan, avuto nuovamente risposta negativa alla domanda di dove era stata fissata la carica, manda gli incursori nella cala di prima. Nel tragitto De La Penne si accorge che non c’è più Bianchi. Gli altoparlanti ordinano lo sgombero della nave.
La carica esplode sotto la nave, che ha una fortissima scossa. Le luci si spengono.
De La Penne tenta di uscire. L’esplosione non lo ha ferito, solo un colpo al ginocchio nel violento spostamento. Deve salire per salvarsi. Sente che la nave, molto sbandata sulla sinistra, si adagia sul fondo. Finalmente, attraverso una scaletta, raggiunge la poppa.
Guarda la Queen Elisabeth, a 500 metri di distanza.
Sono le 6.15. L’equipaggio della nave è sulla prua.
Passano pochi secondi ed anche la Queen Elisabeth salta.
La tremenda esplosione la solleva letteralmente dall’acqua di qualche centimetro. Dal fumaiolo escono pezzi di ferro e nafta.
De La Penne viene portato di nuovo davanti a Morgan, che gli chiede, sul suo onore, se vi sono sotto la Valiant altre cariche.
Il nostro incursore tace. Viene allora portato in quadrato dove trova Bianchi, che, interrogato non ha aperto bocca.
Qualche minuto dopo vengono imbarcati sul motoscafo e poi condotti nel campo di concentramento di Alessandria.
 
Cosa hanno fatto Marceglia e Schergat? Per loro avvicinarsi ed attaccare la Queen Elisabeth è stato, se così si può dire, più agevole. All’ingresso delle ostruzioni aperte devono solo scostarsi rapidamente per non essere investiti da tre cacciatorpediniere in entrata, che mai e poi mai avrebbero potuto pensare che stavano sfiorando siluri pilotati da nemici.
Marceglia e Schergat, arrivati sotto la corazzata, fissano la testa esplosiva del loro “maiale” e avviano la spoletta di scoppio.
Sono le 3.15.
Compiuta la missione cercano a nuoto di raggiungere terra. Ci riescono. Affondano la tuta ed il respiratore e si avviano. Superano la zona portuale, entrano in Alessandria. Sanno dov’è la stazione. Vi si dirigono. Prendono il treno per Rosetta. Sperano di raggiungere la spiaggia e di ricollegarsi con il sommergibile Zaffiro che per due notti avrebbe pendolato vicino alla costa per recuperare chi fosse riuscito, dopo l’attacco di Alessandria, a lasciare il porto.
Una pattuglia della polizia egiziana li cattura.
E la coppia Martellotta-Marino?
“Avanziamo lentissimamente” dirà Martellotta nel suo rapporto.
Ma subito dopo l’onda di un cacciatorpediniere che sta entrando lo sballotta di qua e di là, anche perché il primo cacciatorpediniere è seguito da un secondo.
Sono le 0.30 del 19.
Il “maiale” passa ad una ventina di metri dall’imbarcazione della guardia: Martellotta e Marino entrano nel porto.
Cercano la portaerei che nei due ormeggi consueti, non c’è. Avvistano però una grossa nave e la attaccano, ma quando stanno per applicare la carica si rendono conto che si tratta di un incrociatore e gli ordini non erano questi. Il comandante Borghese aveva assegnato alla coppia una petroliera carica nella speranza che scoppiando si incendiasse ed incendiasse tutto lo specchio d’acqua del porto.
Desistono dall’attacco all’incrociatore e cercano la petroliera. Martellotta risente dello sforzo continuo ed ha conati di vomito. Si libera della maschera e naviga in superficie con il suo “maiale” verso la zona della petroliera.
“Ne vedo una grossa e carica che apprezzo sulle 16 mila tonnellate”, dirà Martellotta nel suo rapporto.
 
Fissano la carica sotto lo scafo: alle 2.55 le spolette sono avviate.
Mentre gli incursori compiono il loro lavoro, alla torpediniera si affianca un cacciatorpediniere. Venuti a galla, Marino se ne accorge e commenta: Speriamo che resti qui ancora per tre ore, così sarà pagato anche lui”.
Nuotano e toccano terra nel punto previsto. Ad una barriera, ormai fuori del porto, vengono arrestati.
Portati in un posto di guardia egiziano, poco dopo sono interrogati da ufficiali inglesi.
Martellotta, naturalmente, non dirà che le sue proprie generalità e così Marino. Ma mentre i due sono nella baracca guardano l’orologio da polso, sequestrato, posato sul tavolo. “Poco dopo le 5.54, si sente una forte esplosione che fa tremare il caseggiato. Qualche momento dopo, mentre saliamo in macchina per seguire l’ufficiale inglese, se ne sente una seconda più lontana e più tardi, mentre la macchina cammina, una terza”. E’ sempre Martellotta nel suo rapporto.
La nave che Martellotta e Marino hanno affondato è la petroliera norvegese Sagona, danneggiato gravemente il cacciatorpediniere Jervis, secondo l’auspicio di Marino.
I sei piloti, i sei incursori che con i loro siluri esplosivi, la notte del 19 dicembre del 1941, affondarono due navi da battaglia, una petroliera ed un cacciatorpediniere, entrando con audacia senza pari, nel porto di Alessandria, ebbero la medaglia d’Oro al valore militare.
A Valerio Borghese veniva conferita la decorazione dell’Ordine militare di Savoia.
“La situazione strategica mediterranea si capovolse: per la prima volta (e l’ultima) nel corso della guerra la Marina italiana si trovò in schiacciante superiorità, conseguendo il potere marittimo nel Mediterraneo”. Questo è il commento di Valerio Borghese nel suo “Decima Flottiglia Mas”.
Nel Mediterraneo, dopo la straordinaria impresa di Alessandria, non vi erano più navi da battaglia nemiche. Malta era a portata di mano: tutta la nostra flotta avrebbe potuto partecipare alla conquista.
Ma questa è la storia dei se e dei ma.
Ciò che rimane, di quel lontano passato, è la prova luminosa che seppero dare gli uomini di mare della Decima Flottiglia Mas.
 
 
Roberto Bazzan


Bibliografia:

J. Valerio Borghese – Decima Flottiglia Mas – Garzanti (Mi)
Ugo Franzolin – I vinti di Salò – Settimo sigillo (Rm)
Ugo Franzolin – Lo sbarco di Anzio – Settimo sigillo (Rm)
Sergio Nesi – Scirè, storia di un sommergibile e degli uomini che lo resero famoso – Lo Scarabeo (Bo)

 



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