mercoledì 15 aprile 2020
Storia
San Carlo Borromeo e la peste di Milano
Ci vorrebbe oggi...

La nostra generazione non ha fortunatamente conosciuto guerre o carestie vivendo sostanzialmente in una sorta di limbo materiale e spirituale che l’entrata in scena del corona virus ha improvvisamente sconvolto.

Quanto sta tragicamente avvenendo non rientra però nel campo dell’inverosimile o dell’imponderabile ma fa purtroppo parte della fragilità e della precarietà della vita umana che non è “padrona” della natura ma ne subisce le leggi.

Del resto così è sempre stato basta un po’ di memoria storica per vedere come l’umanità nel corso dei secoli sia stata provata da pestilenze e prove ben più gravi di questa, per rimanere vicine a noi nei tempi e nei luoghi potremmo ricordare la peste che colpì Milano verso la fine del 500.

Nel 1576, in agosto, la città si apprestava a ricevere la visita di Don Giovanni d’Austria, il vincitore di Lepanto ma già giungevano voci allarmanti da Trento, Verona e Mantova su una epidemia che stava mietendo vittime a grande velocità.

I timori si trasformarono in tragica realtà. Già l’11 di agosto scoppiarono i primi casi tra l’incredulità e lo stupore della gente che ben presto si trasformarono in terrore e disperazione, la peste, molto più violenta e mortale del nostro “virus” si abbatteva impietosa su Milano.

Le autorità si trovarono impreparate ed impotenti di fronte ad un nemico invisibile e spietato, non c’era esercito che potesse combatterlo; gli ospedali, i medici, le cure erano quelle del tempo, ma per fortuna ogni tempo genera uomini speciali capaci di andare al di là delle proprie forze.

L’allora Arcivescovo di Milano, il cardinale San Carlo Borromeo fu uno splendido esempio di come anche solo un uomo illuminato dalla fede e dalla speranza possa cambiare la storia segnandola per i tempi a venire.

Nello sconforto e nella desolazione di quei giorni, San Carlo, divenne la bandiera, il faro da seguire nella tempesta, una guida spirituale ma anche materiale per ogni milanese.



Dopo solo due mesi si contavano già 6000 morti.

Gli ospedali sembravano Lazzaretti, la gente moriva quasi abbandonata mentre i vivi non sapevano come affrontare la fame e l’indigenza, l’autorità (noi diremo “lo stato”) era praticamente incapace di qualsiasi intervento a livello medico ed economico.

San Carlo prese in mano la situazione divenendo un vero e proprio commissario straordinario “ante litteram “, muovendo il suo esercito di preti e religiosi istituì un servizio sanitario capillare ed efficace, fondò nuovi ospedali e riorganizzò quelli già esistenti.

Questi umili uomini di Dio giravano, a loro rischio, tutta la città per portare viveri ai più indigenti, per assistere nelle cure gli ammalati e per benedire e confortare nella fede quanti rendevano l’anima a Dio.

Anche allora le autorità proibirono le cerimonie pubbliche (messe, processioni) ma San Carlo, convinto che il buon Dio potesse più di qualsiasi disposizione delle autorità indisse ben tre processioni per “placare l’ira di Dio“ processioni alle quali presero parte migliaia di persone che il santo esortò alla preghiera e alla penitenza.

La prima processione che dal Duomo si dirigeva verso la Basilica di Sant’Ambrogio fu guidata da un San Carlo a piedi nudi con un cappuccio e una fune intorno al collo che reggeva una grande Croce con una reliquia del Santo chiodo.

Oltre a ciò San Carlo fece alzare altari per celebrare le messe nei punti più adatti e visibili della città, dove i suoi sacerdoti potevano distribuire l’Eucarestia, confessare chiunque, anche gli ammalati, tenendosi a debita distanza.

Il coraggio e la fede di Carlo convinsero i magistrati a ricostruire il Santuario di San Sebastiano, martire e protettore di Milano che aveva salvate dalla peste nel 672.

Durante la quarantena giustamente imposta dalle autorità, il Vescovo raccomandò sempre la preghiera, gli atti di devozione, la vicinanza spirituale e materiale tra le persone .

La peste finì nel luglio del 1577 San Carlo scrisse un memoriale su questa terribile prova nel quale troviamo passi illuminanti anche per noi uomini del terzo millennio, dice infatti il Santo in uno dei suoi passi : “ Città di Milano”, la tua grandezza si alzava fino ai cieli, le tue ricchezze si estendevano fino ai confini dell’universo mondo ….ecco in un tratto che viene la pestilenza che è la mano di Dio, e in un tratto fu abbassata la tua superbia”.

Parole sante e profetiche di un grande uomo di Dio che combatteva anche le eresie definendole “la pestilenza dell’anima”, un Santo guidato non dalle idee e dalle mode dei tempi, come succede purtroppo sovente nella chiesa di oggi, ma dallo “Spirito divino”.

Oggi più che allora abbiamo bisogno di questo spirito, in un tempo in cui si aprono le chiese agli immigrati ma si chiudono ai fedeli che cercano Dio nel Tabernacolo e nella liturgia della messa, le parole del Borromeo possano farci riflettere sul nostro destino ultimo.

Chiudere le Chiese è un atto da atei che va non solo contro il buon senso, ma contro la vera fede e la misericordia di Dio.

La Chiesa, corpo mistico di Cristo, trascende il tempo, lo spazio, i luoghi e anche il virus, è la nostra finestra sull’eternità e sull’amore di Dio pronto ad accoglierci. Una finestra che non possiamo tenere chiusa.

Fabio Pretari




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