mercoledì 17 gennaio 2018
Storia
Cavalca ancora l’Armata Bianca
La resistenza dei Russi alla rivoluzione bolscevica

Il 1917 è un anno cruciale per la storia della Russia. La rivoluzione predicata ed organizzata già da decenni dai seguaci di Carlo Marx e dei suoi sostenitori porta il Paese prima verso un disastro economico e sociale e poi ad una lunga e sanguinosa guerra civile.



Alla fine dell’800 l’impero zarista domina un paese vastissimo e potenzialmente ricco, ma tecnicamente arretrato e legato a modelli di sviluppo che rendono la vita, in particolare nelle campagne, particolarmente dura e disagiata. La Corte imperiale cerca di effettuare delle riforme nominando Primo Ministro Piotr Stolypin, un nobile lungimirante che avvia una profonda trasformazione economica. Se la sua riforma avesse potuto concretizzarsi avrebbe spento il diffuso malcontento ed evitato la rivoluzione bolscevica. Forse proprio per questo Stolypin venne assassinato nel 1911 da un estremista di sinistra.



La prima guerra mondiale vede poi l’impero russo schierato sciaguratamente conto quello austro-ungarico in una vera e propria lotta fratricida. Il tragico costo umano e materiale della guerra trascinerà la Russia al disastro ed al collasso.



Regna allora lo Zar Nicola II, uomo buono e pio, ma debole e circondato da un’aristocrazia corrotta e per di più pervasa dalla nefasta predicazione di uno strano “santone”, Grigori Rasputin, che fa il vuoto intorno alla figura dell’Imperatore. Quando cominciano le prime violente sommosse (ispirate dai vari movimenti socialisti) lo Zar non ha la determinazione di reagire con la necessaria durezza e, per evitare un bagno di sangue preferisce abdicare nel marzo 1917.



A settembre dello stesso anno gli avvenimenti precipitano. Un alto ufficiale zarista, il Generale Kornilov, tenta un colpo di stato, ma la scarsa organizzazione e l’immediata reazione della corrente bolscevica lo porta al fallimento. I bolscevichi ne approfittano per sbarazzarsi anche dei loro avversari interni al mondo socialista, vale a dire i menscevichi ed i socialdemocratici. Il Paese cade così in una situazione di terrore e violenza che ricorda il periodo del Terrore durante la Rivoluzione Francese.



Di fronte a questa drammatica situazione i quadri dell’esercito rimasti fedeli allo zar crearono un esercito (inizialmente piccolo) composto da reduci di guerra e cosacchi che, sotto il comando del Generale Kornilov iniziò a contrastare l’azione delle bande rivoluzionarie. Questo piccolo esercito, conosciuto come “armata bianca” raccoglie in breve decine di migliaia di volontari che riesce a conquistare tutta la parte meridionale della Russia. Kornilov muore in battaglia e viene sostituito dal Generale Krasnov, mentre formazione anti-comuniste si formano in tutto il Paese sotto la guida di uomini come Krasnov e Denikin. Nasce persino una legione cecoslovacca formata da ex prigionieri di guerra austroungarici. Il 1919 vede una imponente avanzata di queste forze controrivoluzionarie che da una parte conquistano l’Ucraina, il Caucaso e arrivano fino alle porte di Mosca e, da un’altra parte arrivano fino ad Ekaterinburg, dove, nel 1918 i Bolscevichi avevano massacrato l’intera famiglia imperiale. Purtroppo le divisioni all’interno dell’Armata Bianca impedì che questi successi portassero alla vittoria contro le forze bolsceviche. Lev Bronstein, conosciuto come Trotzskji, il numero due dei dirigenti comunisti, avvia, attraverso l’introduzione della leva obbligatoria, la costruzione di un enorme esercito di cinque milioni di uomini (dieci volte gli effettivi dell’Armata Bianca) che viene armato ed equipaggiato con i soldi che arrivano da ben precisi circoli legati al circuito finanziario internazionale. Inoltre organizza una spietata ed efficentissima polizia politica: la Ceka. Questo mostro da guerra è supportato da un’industria bellica in grado di rifornirlo perché i bolscevichi hanno conservato il controllo delle grandi città industriali al contrario dei Bianchi che controllano principalmente le campagne ed i villaggi. Lentamente quindi le sorti della guerra si rovesciano e l’Aramata Rossa di Trotzskji e Lenin spinge verso aree sempre più periferiche le armate controrivoluzionarie che, oltretutto, neppure di fronte al pericolo della disfatta riescono a darsi un comando unitario e si fanno eliminare una dopo l’altra. Nel 1929 è rimasto in campo solo il generale Wrangel che controlla la Crimea ed una striscia di territorio nel sud della Russia. Nel novembre dello stesso anno però l’Armata Rossa lancia l’offensiva finale e Wrangel, con circa centomila seguaci si imbarca per Costantinopoli lasciando definitivamente la Russia nelle mani dei bolscevichi. La guerra civile è costata cinque milioni di morti e l’utopia che prometteva il paradiso in terra trasformerà la Russia in un inferno costellato di venti milioni di morti, di gulag, di deportazioni di sofferenze di ogni genere…



Solo nel 1991 la bandiera russa tornerà a sventolare sul Cremlino, sostituendo la stella rossa, ed oggi, grazie a Dio, l’aquila imperiale è tornata a volare nei cieli di Russia.



Fabio Pretari




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