lunedì 25 settembre 2017
Storia
Il Leone dell'Isonzo
Boroevic Von Bojna uno dei migliori Generali dell'esercito Austroungarico

Nella galleria dei personaggi che hanno avuto un ruolo da protagonisti nella prima guerra mondiale spesso o quasi esclusivamente si è voluto dare le luci della ribalta a chi ha combattuto dalla parte dei vincitori, negando così il giusto riconoscimento di coraggio e professionalità a quei militari che soltanto perché stavano dalla parte del “nemico” sono stati condannati a una specie di oblio della storia. É il caso del feldmaresciallo Svetozar von Boroevic de Bojna, figura straordinaria di soldato croato alle dipendenze dell'imperialregio esercito degli Asburgo.



Cresciuto nell'ambiente militare dei Grenzer, le guardie di confine in cui il padre prestava servizio, Boroevic ebbe come scopo principale della sua esistenza la fedeltà a quella divisa che servì attraverso ruoli sempre più importanti. La fulminante carriera che passo dopo passo lo vide scalare i vari gradi senza alcun aiuto o protezione, fino al raggiungimento dei vertici dell'esercito, fu esclusivamente il frutto delle sue qualità e della sua determinazione. Dalla partecipazione come giovanissimo tenente in Bosnia nel 1878, all'indomani dell'annessione all'Impero, fino all'organizzazione della milizia territoriale croata che sotto il suo comando si trasformerà in un efficientissimo strumento militare durante la prima guerra mondiale.



Il feldmaresciallo Boroevic del resto non era l'unico croato ad occupare un ruolo così importante nelle varie armate asburgiche. Tra i più alti ufficiali vi era il generale Stephan Sarkotic il cui nome per diverso tempo circolò nell'entourage più stretto dell'imperatore come eventuale sostituto del Capo di Stato Maggiore Conrad Von Hötzendorf. Nella Marina imperialregia vi era pure un altro croato ai posti di comando: l'ammiraglio Maximilian Njiegovan. Uomini che per la loro brillante carriera diventarono i simboli di quella schiera di soldati croati che per secoli combatterono per difendere la propria patria all'interno dei territori sormontati dall'Aquila Bicipite.



L'esercito asburgico rappresentava una delle scuole più formative e forse più autentiche per imparare quel senso di convivenza tra nazionalità ed etnie diverse tra loro. Gli ufficiali in particolare venivano educati allo spirito cosmopolita dell'impero cercando di tenerli lontani da quelle contese nazionalistiche tipiche di certo mondo politico,



Questo carattere multinazionale secondo alcuni costituiva un elemento di debolezza dell'esercito, quasi che si traducesse in una scontata mancanza di coesione e di disciplina. Non mancarono certo delle immagini deformate della vita militare come quella del “Buon soldato Svejk”, il romanzo dello scrittore cieco Hašek che cercava di mettere alla berlina l'esercito e le altre principali istituzioni della Duplice Monarchia. E se è vero che verso la fine della guerra, quando ormai la sorte delle potenze centrali appariva segnata, scoppiarono delle rivolte in alcuni reggimenti, non bisogna dimenticare che durante tutta la prima guerra mondiale il soldato austroungarico di qualsiasi origine etnica fosse combatté con resistenza e coraggio proprio in ragione di quel giuramento personale di fedeltà che lo legava al capo dell'esercito, cioè l'imperatore.



Boroevic con il suo stile di vita limpido e lineare fu un esempio per tutti i suoi sottoposti, tanto che la strenua resistenza delle sue truppe di fronte a un nemico numericamente superiore non poteva spiegarsi se non nella fiducia incondizionata dei propri vertici militari e politici.



Le memorie della Grande Guerra raccontano che questo feldmaresciallo non lasciava il comando nemmeno per un'ora, impegnato com'era a seguire con assiduità le operazioni militari dalle montagne o dalle valli. Come ha scritto un suo biografo, egli incarnava quei tratti che hanno reso i croati nei secoli il baluardo della Cristianità e dell'Impero contro le pressioni da oriente.



A dispetto di un carattere duro e riservato e di una concezione molo esigente della vita militare, Boroevic mostrò sentimenti paterni verso i suoi sottoposti, non soltanto verso gli ufficiali ma anche verso i semplici soldati, aiutato in questo dal ricordo delle sue umili origini.



Impegnato nella prima fase della Grande Guerra sul fronte orientale, già in quei frangenti Boroevic ebbe l'occasione di dimostrare le sue qualità nell'applicazione della tattica militare unitamente a non indifferenti intuizioni strategiche.



Il suo nome tuttavia sarà per sempre legato al teatro dell'epico scontro tra austriaci ed italiani, tanto da ricevere l'appellativo di “Leone dell'Isonzo” e meritare uno dei più prestigiosi riconoscimenti dell'Impero: la Croce dell'Ordine militare di Maria Teresa.



Sul fronte isontino il suo ordine categorico fu di difendere ad ogni costo le posizioni fin lì acquisite e non indietreggiare anche in caso di avanzata nemica. Ai suoi ufficiali era solito ricordare che il motto della sua Divisione era “Avanti” per cui li avrebbe avrebbe ritenuti personalmente responsabili ogni qual volta fossero indietreggiati, perfino di un solo passo.



Il suo impegno in Italia raggiunse l'apice con la partecipazione alla dodicesima battaglia dell'Isonzo, quel drammatico scontro che ebbe il suo epilogo nella clamorosa vittoria dell'esercito austroungarico a Caporetto e il conseguente spostamento del fronte sul Piave.



Quando sul finire dell'ottobre 1918 il Comando Supremo austriaco diede l'ordine di ritirata, Boroevic, molto malvolentieri, fu costretto a riportare le proprie truppe in patria. Il feldmaresciallo era convinto che, nonostante le difficoltà delle Potenze Centrali, le sue divisioni, meno decimate di altre, fossero ancora in grado di proseguire il combattimento.



Lo spirito indomito e la fedeltà di questo ufficiale croato si manifesterà nuovamente pochi giorni più tardi allorché, pur essendo ormai evidente a tutti lo sfacelo della Duplice Monarchia, egli telegrafò due volte all'imperatore in persona per convincerlo a fare un ultimo tentativo di salvare il salvabile. Il piano, studiato nei minimi particolari, prevedeva l'occupazione di Vienna al fine di dare al sovrano austriaco qualche margine di manovra e provare così a fornire una chance di sopravvivenza alla Monarchia.



L'imperatore Carlo del quale era nota la premura per le sofferenze della popolazione viennese, duramente provata dalla guerra, non diede seguito alle richieste del feldmaresciallo per evitare ulteriori spargimenti di sangue.



Anche a guerra conclusa la vita riservò a Boroevic non poche amarezze e delusioni. Il più grande dolore fu il divieto di tornare in patria perché ritenuto poco affidabile. Il motivo di questa decisione era la conseguenza del suo rifiuto di appoggiare durante il conflitto le mire irredentistiche di una parte della popolazione slava. Trascorse così gli ultimi due anni della sua vita a Klagenfurt dove un colpo apoplettico nel maggio 1920 lo stroncò a soli sessantaquattro anni. Fu seppellito provvisoriamente nel capoluogo carinziano, ma pochi mesi dopo si decise di trasferire le sue spoglie a Vienna dove l'ex imperatore gli aveva fatto costruire un monumento commemorativo sotto le volte del cimitero centrale.



L'ex capitale della Duplice Monarchia seppe onorare la memoria di questo fedele suddito dell'imperatore tributandogli l'estremo saluto con un'imponente cerimonia a cui parteciparono tanti ex ufficiali e una folla composta da diverse migliaia di suoi ex soldati appartenenti alle più disparate estrazioni sociali.



Se i suoi compatrioti croati lo avevano abbandonato costringendolo a vivere gli ultimi anni di vita in povertà, in Austria invece il suo ricordo è ancora vivo. Ogni Natale una delegazione dell'Esercito Federale si reca al cimitero di Vienna per deporre sulla sua tomba una corona di fiori con la semplice iscrizione: “Das Bundesheer”, le Forze Armate.



 



Massimo Scorticati



 




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