giovedì 31 ottobre 2013
Religione
Papi, Antipapi e crisi della Chiesa
Laddove si dimostra che la Barca di Pietro è ben abituata alle tempeste

 

Non credo sia azzardato affermare che da circa cinquant'anni a questa parte è in atto una crisi all'interno della Chiesa. Grosso modo da quando si è concluso il Concilio Vaticano II se ne sono viste un po' di tutti i colori sia per opera di uomini consacrati che di laici: defezioni in massa dal sacerdozio, magistero contestato, scempi liturgici, patetiche figure di sedicenti cattolici sempre pronti a scimmiottare l'ideologia alla moda e via di questo passo.


In questa sede non ci si vuole occupare di questi problemi. Per fortuna c'è il Papa e di riflesso magari qualche bravo teologo a spiegarci la buona dottrina e la corretta ermeneutica del Concilio. Piuttosto si vuole rispondere a chi vede nei problemi attuali della Chiesa un processo irreversibile, un punto di non ritorno come se in quest'ultimo mezzo secolo si siano concentrati tutti i mali della Sposa di Cristo e per converso nei quasi due millenni precedenti le cose siano sempre andate bene. Chi ha un'idea sia pure minima della storia della Chiesa sa invece che le cose non sempre sono filate lisce e anche in altri tempi i problemi non sono mancati


Basterà ricordare la crisi che attanagliò la Chiesa a partire dall'ultima parte del XIV secolo fino alla metà del XV secolo. Una crisi tanto grave perché non originata da una diminuzione di fervore o a uno dei tanti rilassamenti dei costumi a cui peraltro la Chiesa aveva già dimostrato di saper rispondere attraverso l'opera di restaurazione di grandi santi: si pensi alla riforma di San Bernardo o alla fondazione degli ordini mendicanti di San Francesco e San Domenico. Stava invece accadendo un fatto ancora più grave poiché cominciavano a manifestarsi delle riserve sopra un cardine della vita e della struttura ecclesiale come l'autorità pontificia.


Nel 1377 Gregorio XI ritornando a Roma tra il tripudio della folla, aveva posto fine alla cosiddetta “cattività avignonese” che aveva portato per quasi settant'anni la sede del papato nella città in riva al Rodano. L'euforia generale tuttavia era destinata a durare poco poiché l'anno seguente l'elezione del suo successore – il barese Bartolomeo Prignano con il nome di Urbano VI - fu duramente contestata dai cardinali francesi i quali pensarono bene di riunirsi in conclave a Fondi dove nominarono il cardinale Roberto di Ginevra. Questi si impose il nome di Clemente VII e dopo un fallimentare tentativo di insediarsi a Roma si stabilì di nuovo ad Avignone. La Chiesa si ritrovava ad avere due papi, due collegi cardinalizi, due gerarchie e conseguentemente due curie che per mantenersi imponevano tributi ed esigevano imposte. Lo scisma non era causato dall'ambizione di questo o di quell'imperatore come era avvenuto in altre occasioni ma coinvolgeva direttamente il ruolo di chi in prima persona doveva conservare il Deposito della Fede. E il problema non erano gli eventuali vizi privati del papa o di qualche alto prelato ma la struttura stessa della Chiesa. La cristianità era turbata dal dubbio sulla legittimità del Successore di Pietro. In buona sostanza ci si chiedeva chi era il vero capo della Chiesa e per estensione anche quale chiesa si doveva seguire visto il formarsi di successioni e gerarchie parallele.


Mica roba da poco se si aggiunge che lo scisma provocò una divisione a livello politico con i vari stati che sostenevano l'uno o l'altro Pontefice in base alle proprie convenienze. Il papa di Roma era sostenuto dell'Inghilterra e in grande maggioranza in Germania e Italia mentre quello di Avignone poteva contare sull'appoggio della Scozia e di due nazioni di grande tradizione cattolica come la Spagna e la Francia. Ma senza dubbio gli effetti più nefasti si ebbero all'interno del “popolo di Dio” tant'è che addirittura anche i santi di allora si divisero tra i due campi contrapposti. Di obbedienza romana era la grande mistica Santa Caterina da Siena e la beata Orsolina di Parma mentre con i “clementini” stava il fervente predicatore San Vincenzo Ferreri e la riformatrice delle Clarisse Santa Coletta. Insomma ce n'era abbastanza per suscitare confusione e disorientamento tra le anime dei fedeli all'interno delle famiglie, nelle parrocchie e nei monasteri.  In questo caos indescrivibile cominciò a prendere piede l'idea sulla necessità di convocare un concilio per risolvere la questione della presenza di due papi i quali tra l'altro continuavano a scomunicarsi reciprocamente e non ne volevano sapere di abbandonare la tiara. Sostenevano questa idea sia l'università di Parigi, la più importante scuola teologica del tempo, sia alcuni cardinali delle due parti contendenti.


Convocato nel marzo 1409 il concilio di Pisa depose i due pontefici in carica (il romano Gregorio XII e l'avignonese Benedetto XIII) e procedette all'elezione di un nuovo vicario di Cristo per porre fine allo scisma. Il nuovo eletto Alessandro V non venne riconosciuto dagli altri due così la Chiesa si ritrovava con tre papi regnanti La situazione era dunque peggiorata tanto più che nell'assise di Pisa aveva preso piede una dottrina eretica molto pericolosa che tendeva ad attribuire al concilio un'autorità assoluta accrescendo nella Chiesa l'elemento democratico a scapito di quello monarchico.


A trovare una via di uscita fu il futuro imperatore Sigismondo che per primo cercò concretamente le dimissioni dei tre papi e a questo fine convocò un concilio ecumenico nella città imperiale di Costanza. I padri conciliari ottennero l'abdicazione del papa di obbedienza pisana e senza non poche difficoltà deposero gli altri due. A quel punto fu possibile eleggere un nuovo Pontefice che poteva finalmente svolgere la funzione di unico capo della Chiesa. Toccò al cardinale Oddo Colonna che fu eletto l'11 novembre 1417 e in onore del santo del giorno si impose il nome di MartinoV.


Articolata sul voto per nazione e non secondo il computo delle singole teste, l'assise di Costanza, nella sua quinta sessione aveva pure decretato la superiorità del Concilio sul Papa e la necessità di convocare concili a scadenze prefissate. Ma proprio l'introduzione di queste forme di democratismo, in palese contrasto con la costituzione divina della Chiesa, furono all'origine dell'ultima appendice dello scisma d'Occidente con il conte di Savoia Amedeo VIII. Questi prese il nome di Felice V (1439-1449) e può essere considerato l'ultimo antipapa nella storia della Chiesa.


Ancora ai giorni nostri circolano dei personaggi che si proclamano antipapi – c'è chi dice che siano addirittura una quarantina – ma si tratta di figure senza seguito ascrivibili più alla categoria del folklore che a quella dell'interesse storico e sociologico.


Quali insegnamenti si possono trarre da eventi che pur essendo lontani nel tempo riecheggiano per alcuni versi temi e situazioni straordinariamente attuali? Si pensi soltanto alle polemiche sull'uso strumentale della collegialità episcopale al fine di limitare i poteri del Papa oppure a quello stuolo di contestatori del magistero pontificio che non di rado trovano una sponda in un qualche esponente della Gerarchia il quale indossa più o meno consapevolmente le vesti del “antipapa” di turno.


Pur riconoscendo che si trattò di una vicenda dolorosa, non va dimenticato che molti dei protagonisti agirono in buona fede convinti di poter in un qualche modo di riformare la Chiesa. Lo stesso si può dire anche di quei fedeli che aderirono all'obbedienza avignonese e seguirono le direttive dei vari antipapi. Oggi siamo abituati ad avere le notizie in tempo reale, abbiamo la possibilità di confrontare le fonti e farci un giudizio attendibile dei fatti. Ben diverse erano le condizioni e la circolazione delle notizie di allora quindi non ci si deve stupire più di tanto se un semplice fedele potesse considerare come indiscutibilmente legittimo il papa “francese”.


Ma proprio in periodi come questi in cui succede tutto e il contrario di tutto; ai papi si oppongono gli antipapi, ai concili succedono i conciliaboli, si può toccare con mano quel disegno provvidenziale che guida la comunità dei credenti. Se conflitti del genere avrebbero disintegrato qualsiasi istituzione umana – e la storia ci testimonia come grandi imperi o grandi stati sono crollati per molto meno – non così è stato per la storia bimillenaria della Chiesa. Anzi di fronte ad un evento negativo o ad un periodo di crisi apparentemente irreversibile la Chiesa, non soltanto ha sempre saputo superare l' impasse, ma ha anche trovato la forza per riformarsi e per essere ancora più fedele alla sua missione.


Insomma la prova provata di quanto sia vera la promessa del suo Fondatore divino: “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”.





Massimo Scorticati



NB: La seconda parte dell'articolo sulla tragedia del Vajont sarà online domenica sera

























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