Come definiamo una persona egoista, menefreghista, che non si preoccupa delle conseguenze delle sue azioni, magari guidate dall’ossessione per il guadagno, o comunque usa a comportamenti che giudichiamo disdicevoli o peggio? Beh… ci sono diverse definizioni che potrebbero descrivere il soggetto, alcune delle quali abbastanza colorite, ma se vogliamo conservare un gergo urbano, potremmo definirla una persona senza scrupoli. Già da qui si potrebbe evincere come lo scrupolo sia da considerarsi in generale cosa positiva, come lo scrupolo del medico che visita “scrupolosamente” un paziente, o come lo scrupolo che ci si fa prima di dare la mancia a un cameriere per timore di offenderlo.
Sono rimasto meravigliato andando a leggere la definizione di scrupolo sull’enciclopedia: si passa da un’antica misura di peso (frazione di oncia), alla vite di regolazione micrometrica di uno strumento di precisione; per estensione una cosa estremamente piccola oppure un’estrema diligenza nello svolgimento di un lavoro; ma anche una sorta di inquietudine morale, un’incertezza della coscienza che porta a sentirsi sempre addosso il dubbio di essere in colpa.
Dal punto di vista del cristiano lo scrupolo può essere addirittura considerato una malattia della coscienza che si tormenta attorno al senso di colpa generato dall’incertezza di essere o meno in peccato. Vivere cristianamente questi nostri tempi non è certo una cosa facile, la società, il lavoro, la scuola, il bombardamento mediatico, l’attacco alla famiglia iniziato grossomodo negli ultimi quarant’anni del secolo scorso, rappresentano tutta una serie di ostacoli interconnessi e articolati inquadrati in un più grande disegno che passa attraverso le dottrine positiviste, antropocentriche e globaliste che tendono ad allontanarci dal messaggio evangelico. Lo scrupolo ben si inserisce in questo bailamme comunicativo che ci assedia giornalmente, la sensazione di non essere mai completamente a posto, un pensiero maligno che ci attraversa la mente innescato magari da una foto, una tentazione che ci pervade, il dubbio sull’effettiva sincerità e profondità del nostro pentimento e di conseguenza sulla validità di una confessione passata, rischiano di farci arrovellare inutilmente intorno a problemi immaginari o comunque marginali e di farci perdere di vista la direzione primaria del nostro cammino verso la salvezza disperdendo le nostre energie in angusti vicoli senza uscita che non ci portano nessuna serenità e tantomeno a quella che dovrebbe essere la gioia di vivere tipica del cristiano, ma che sfociano invece in un senso di depressione, di inutilità, di impotenza di fronte alle difficolta che il Signore ci pone davanti.
Un animo eccessivamente perfezionista e meticoloso oppure una coscienza molto profonda e sensibile sono particolarmente soggetti all’insorgenza di uno scrupolo. Ricordando che in assenza di piena coscienza e deliberato consenso non esiste peccato, occorre discernere sull’origine del nostro dubbio prima che diventi scrupolo analizzandone gli effetti e chiedendoci: cui prodest? Per esempio nel caso di un’incertezza che ci porti a ritenerci indegni dell’Eucaristia, banalmente chi è più soddisfatto della nostra mancata Comunione? Su questo argomento mi permetto di consigliare la lettura di “Regole per il discernimento degli spiriti” di Padre Ludovic-Marie Barrielle.
Gli effetti di uno scrupolo ripetuto ed ostinato possono essere veramente importanti fino a spingere a una depressione psicofisica e una perdita dell’orizzonte e della forza morale esponendo il malcapitato a una percezione di presunta inutilità degli sforzi tesi alla salvezza dell’anima e aprendolo a tentazioni che altrimenti non avrebbe considerato.
Fabio Dalla Vedova