venerdì 24 luglio 2020
Esteri
Venti di guerra a sud del Caucaso
Gli Azeri lanciano una provocazione e riaccendono la guerra con l’Armenia. Il ruolo della Turchia

Nel pomeriggio di domenica 12 luglio un veicolo militare azero ha attraversato il confine con l’Armenia nella regione nord orientale di Tovuz. Dopo tiri di avvertimento da parte delle forze armate armene i militari Azeri hanno abbandonato il veicolo e si sono ritirati oltre il confine. Dopo alcune ore reparti azeri con copertura di fuoco di artiglieria e impiego di forze corazzate hanno cercato di impadronirsi delle postazioni confinarie armene ma sono state respinte con perdite. Secondo il sito Russo “Avia.pro” le forze azere hanno subito una pesante sconfitta. Ma i combattimenti sono continuati per tutto il 13 e il14 luglio e ancora sino al giorno 16 ci sono stati duelli di artiglieria. Fonti armene riferiscono che l’artiglieria azera abbia concentrato i suoi tiri sui villaggi di confine accusa ribattuta dalle fonti azere ma confermata dal fatto che, anche se non ci sono conferme di vittime civili, esistono documentazioni fotografiche dei danni arrecati ai villaggi e inoltre, il fatto che l’esercito armeno lamenti solo 4 vittime negli scambi di artiglieria e la controparte ammetta 19 vittime militari tra cui il maggiore generale Gashimov, e un colonnello, sembra confermare che i tiri di artiglieria azeri non si siano concentrati sulle postazioni difensive armene ma abbiano avuto un più variegato spettro di bersagli. Il fatto poi che il ministro azero della difesa abbia minacciato, nella mattinata di venerdì, di lanciare un attacco missilistico sulla centrale nucleare di Metsamor che fornisce gran parte dell’energia necessaria alla Repubblica Armena dimostra che messesi male le cose sul terreno si è passati alla minaccia di rispondere sul piano terroristico incuranti del disastro umanitario e ambientale che la distruzione di una centrale nucleare provocherebbe, non solo in Armenia ma in tutta la regione. Sul piano interno gli scontri hanno provocato certamente preoccupazione in Armenia ma non si sono avute particolari manifestazioni popolari. Gli armeni si sono stretti con fiducia alle loro forze armate e al loro governo. In Azerbaigian folle di “islamisti” si sono riversate nelle strade al grido di “allah u akbar” reclamando lo sterminio dei cristiani. Nella sera di giovedì migliaia di manifestanti a Baku hanno assediato il parlamento inneggiando alla guerra e sono stati dispersi, pare che il presidente Alayev abbia lamentato che delle tante migliaia accorse in strada solo 150 abbiano chiesto di arruolarsi nell’armata popolare. Anche il governo azero ha subito contraccolpi, il ministro degli esteri, giudicato troppo morbido al tavolo delle trattative per l’annosa questione del Nagorno Karabakh ed assente sul piano internazionale in questi frangenti è stato licenziato. La situazione rimane molto tesa nel momento in cui scrivo e non è detto che gli scontri non possano riprendere nei prossimi giorni.

Quanto è successo apre lo spazio a diverse considerazioni. Una prima riguarda l’area in cui si è svolta e potrebbe riaccendersi la battaglia. Sino ad ora gli scontri si erano svolti sul territorio della repubblica non riconosciuta internazionalmente dell’Artzak ovvero dell’ex repubblica autonoma azera del Nagorno Karabakh, interamente abitata da Armeni, separatasi militarmente dall’Azerbaigian dopo i pogrom contro gli Armeni di Sumgait prima e di Baku successivamente. Questa separazione provocò la guerra tra Armenia e Azerbaigian che dura dagli anni 90 del secolo scorso e si riaccende periodicamente. L’area di Tovuz si trova invece nel nord dell’Armenia vicino al confine georgiano. In questa area transita l’oleodotto Baku-Tibilisi-Ceyhan mediante il quale il petrolio azero viene esportato baipassando la rete di oleodotti russi, se fosse confermato che negli scontri sono caduti 7 militari turchi, e purtroppo è confermato che la Turchia ha aperto dei centri di reclutamento per inviare guerriglieri salafiti in Azerbaigian a combattere contro gli Armeni ed ha messo in stato di allarme le sue truppe alla frontiera armena, questo vorrebbe dire che la mossa è un tentativo di occupare una parte del territorio armeno in modo da mettere l’oleodotto, vitale per l’economia turca, fuori della portata dell’artiglieria di Erevan. Che questa ipotesi non sia peregrina è confermato anche dalla dichiarazione del governo armeno che ha negato qualsiasi intenzione di colpire le infrastrutture petrolifere dell’Azerbaigian e l’unica infrastruttura petrolifera azera che sia alla portata delle forze armate armene, che non hanno una aviazione d’attacco, è proprio l’oleodotto che transita nella regione di Tovuz.  Una seconda considerazione riguarda la collocazione internazionale dell’Azerbaigian. Sino ad oggi la famiglia Alayev ha mantenuto una sostanziale ambiguità nelle proprie alleanze restando a far parte della CSI nata dalla dissoluzione dell’URSS e continuando a rifornirsi di armamenti dalla Federazione Russa mentre nel contempo partecipava a numerose iniziative della NATO, comunque non definibili come potenzialmente ostili a Mosca, e acquistava nuove tecnologie militari da Israele, segnatamente i droni da ricognizione Hermes 450 e 900 della Elbit, uno dei quali è stato abbattuto martedì dalla contraerea armena (Hermes 900) e Heron della IAI. Con questa mossa però pare che Bakù abbia deciso di dare ascolto alle sirene neo ottomane che cantano da Ankara cosa che schiererebbe l’Azerbaigian decisamente nel campo della NATO. Perché la Turchia, pur con gli atteggiamenti irritanti che la presunzione di Erdogan diventare il successore morale di Maometto II le fa assumere nei confronti degli “alleati” occidentali, è pur sempre la seconda potenza militare convenzionale dell’alleanza atlantica dopo gli Stati Uniti. Che questo stia accadendo è suggerito anche da un altro fatto. Di recente, durante la visita in Italia del presidente Alayev, fonti informate affermano sia stato firmato un contratto con Leonardo S.pA. per la fornitura in due tranche di 15 più 10 M346 Master con una opzione per altri 15 velivoli. Ora l’M346 master è il più prestante addestratore avanzato esistente in occidente gratificato dall’acquisto di 30 macchine da parte di Israele, dedicato all’addestramento finale dei piloti che poi passano su aerei di 4°generazione ++ o di 5°generazione come gli Eurofighter Tiphon o gli F35. aerei occidentali quindi con le predisposizioni per integrare armamenti occidentali. Ora appare già strano il numero degli aerei opzionati visto che le forze aeree di Bakù contano una ventina di Mig 29 ereditati dall’URSS di cu solo un paio aggiornati e su una dozzina di Sukhoi Su 25 e quindi senza contare l’opzione, che porterebbe la fornitura a 40 macchine, avrebbero in linea 25 aerei da addestramento per 30 aerei da combattimento. Aerei che esclusa la velocita e la blindatura nei Su 25 sono nettamente inferiori come prestazioni agli addestratori acquistati e comunque sono aerei sovietici incompatibili per avionica e armamento con l’M346 che può anche essere trasformato in aereo da attacco leggero ma che dovrebbe comunque impiegare armamenti occidentali per i quali è certificato. Solo un’ipotesi quindi è spendibile ed è che l’Azerbaigian stia per passare, come già la Georgia, stia per passare armi e bagagli al campo della NATO creando ulteriori frizioni con la Russia. Unica consolazione in questo scenario folle è data dal fatto che gli Armeni non saranno lasciati soli ad affrontare un’altra volta la ferocia ottomana perché la Russia oltre all’antica amicizia ed alleanza ha ragioni ben concrete per non farlo.



Scipione Emiliano



 




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