venerdì 11 ottobre 2019
Storia
La questione tirolese
La storia di un problema ancora irrisolto.

Sono ormai diversi decenni che, a fasi alterne, la cosiddetta questione tirolese fa capolino nella scena politica. Ancora oggi nel Sudtirolo formazioni politiche molto agguerrite non si limitano a rivendicare una maggiore autonomia ma invocano la secessione dall’Italia per costituirsi in Stato indipendente o unirsi all’Austria. A rinfocolare queste polemiche ci ha pensato proprio il parlamento di Vienna che nei giorni scorsi ha approvato un emendamento che di fatto apre la strada al progetto di rilasciare un doppio passaporto – italiano e austriaco – ai cittadini sudtirolesi. Quello relativo all’Alto Adige è un problema che affonda le proprie radici nella storia di questa bellissima regione e non può essere banalizzato a colpi di slogan tra filotedeschi o filoitaliani quasi fosse una partita di calcio. Per questo motivo giova richiamare qualche cenno storico per ricostruire la vicenda e farsene un’idea più precisa e possibilmente più obiettiva.

In origine il Tirolo è stato per secoli un insieme di territori frammentati, prima sotto l’amministrazione dei vescovi e in seguito affidati ad alcune potenti famiglie nobiliari. Nel XIII secolo una di queste famiglie, i Tirolo, riunì queste terre in un’unica contea a cui diede il suo nome. Prendeva corpo quella regione i cui estremi meridionali e settentrionali andavano da Ala a Kufstein e che dal 1363 fu incorporata nell’Impero asburgico.

Fino al termine della prima guerra mondiale, cioè per oltre cinque secoli e mezzo il Tirolo è stato parte integrante della plurietnica Austria svolgendo un ruolo di cerniera tra nord e sud del Continente e rappresentando un luogo di scambio in cui il commercio è stato un tratto distintivo fin dai tempi della Roma antica. Tra l’altro questa regione fu essa stessa un luogo d’incontro tra realtà culturali e linguistiche differenti essendo composta da almeno tre gruppi diversi tra loro: tedeschi, italiani e ladini.

Tutto questo finì nel 1919. Il trattato postbellico di Saint Germain assegnò all’Italia la parte del Tirolo a sud del Brennero come compenso territoriale per la partecipazione nella Grande Guerra a fianco delle forze dell’Intesa. Una decisione disastrosa perché andava a dividere un territorio solo parzialmente di lingua italiana, per secoli unito da  istituzioni e costumi comuni e che per giunta non era mai appartenuto all’Italia. Certamente in Trentino esisteva una piccola fazione di irredentisti ma essa rappresentava una infima minoranza. Proviamo pensare a personaggi come Cesare Battisti che la storiografia italiana ha inserito nel pantheon degli eroi della patria ma sulla cui coerenza sorge più di un dubbio vista la sua duplice veste di parlamentare a Vienna e contemporaneamente di spia italiana.

Il Tirolo così si è ritrovato diviso in tre parti: Tirol appartenente alla Repubblica Austriaca, Alto Adige (Sudtirol) e Trentino (Welschtirol) annesse all’Italia. Dopo la guerra iniziava quel processo di assimilazione diretto a italianizzare una volta per tutte la regione e in particolare quelle fasce di popolazione più riluttanti verso il nuovo status quo. Uno dei principali protagonisti di questa operazione fu il geografo e senatore del Regno d’Italia, Ettore Tolomei il quale, su diretto incarico del governo Giolitti, approntò un programma che prevedeva l’uso esclusivo dell’italiano nelle scuole e negli uffici pubblici, lo sconvolgimento della toponomastica, la traduzione di nomi e cognomi e altri provvedimenti decisamente umilianti per chi era nato e cresciuto in un contesto culturale assai diverso da quello che si voleva imporre con la forza.

Questo progetto continuò anche durante il fascismo pur tra mille difficoltà e resistenze. A diversi anni di distanza lo stesso Tolomei fu costretto a constatare il fallimento del programma di assimilazione e in tono rassegnato affermò che il Tirolo non sarebbe diventato italiano neppure dopo due secoli. Per questo motivo si arrivò a pianificare un esodo di immigrati soprattutto dal Mezzogiorno e dal Veneto, al fine di ottenere una maggioranza di italiani nell’Alto Adige e rovesciare la preponderanza dei tirolesi di lingua tedesca. Un piano di immigrazione massiccia che interessò particolarmente la città di Bolzano e provocò una chiusura ermetica e odio da parte di chi aveva combattuto dalla parte imperiale e non si riconosceva nel nuovo Stato italiano. Fu in questo contesto che cominceranno ad acuirsi quelle tensioni destinate ad esplodere in forma clamorosa e violenta nei decenni successivi.

Sebbene nel dopoguerra furono varati statuti che garantivano una crescente autonomia alla regione e ne prevedevano cospicui finanziamenti, la protesta contro lo Stato italiano fece registrare un’escalation che sorprese le istituzioni romane.

A partire dal 1956 l’Alto Adige viene sconvolto da una serie di attentati dinamitardi e da scontri a fuoco con le forze dell’ordine. L’apice venne raggiunto la notte tra l’11 e il 12 giugno 1961 quando nella provincia di Bolzano si registrarono ben 37 esplosioni che misero fuori uso linee dell’alta tensione e centrali idroelettriche. In quell’occasione si registrò la prima vittima anche se l’azione più cruenta avvenne sei anni dopo a Cima Valona, nel bellunese, dove quattro militari furono uccisi da una mina antiuomo.

L’azione degli irredentisti tirolesi proseguì nei tre decenni seguenti pur andando via via scemando. L’ultimo episodio si verificò nel 1988 con l’esplosione di alcune bombe a Bolzano di cui una davanti alla sede della RAI. Il bilancio di 32 anni di guerriglia ha fatto segnare 25 morti – la maggior parte di essi tra le forze dell’ordine – diverse decine di feriti e oltre un centinaio di arresti tra gli attentatori.

Oggi esistono formazioni politiche come la SVP che rivendicano più poteri agli enti territoriali sia pure in una cornice regionalista, ma ci sono anche altri gruppi dichiaratamente a favore del Los von Rome, ossia della separazione dell’Alto Adige dall’Italia. Accanto e contigui a questi gruppi vi sono poi gli Schutzen, le celebri formazioni in divisa e cappello piumato che si ispirano alle milizie che per diversi secoli hanno avuto il compito di difendere la popolazione di quelle valli. Durante le manifestazioni degli Schutzen o dei gruppi separatisti a volte viene esibita una corona di spine quale simbolo della sofferenza del popolo tirolese per la divisione avvenuta alla fine della prima guerra mondiale. Certamente la ferita della divisione del Tirolo è ancora aperta in molti abitanti di quei luoghi e perciò sono pure comprensibili le conseguenti proteste. Meno comprensibili magari sono certi accenti antitaliani che ormai sempre più frequentemente si sentono da parte di esponenti altoatesini.

Se durante le parate irredentiste si celebra giustamente la figura di Andrea Hofer, l’eroe tirolese che nei primi anni del XIX secolo si è strenuamente battuto contro le armate napoleoniche, non va dimenticato che lo stesso oste della Val Passiria nel momento cruciale della sollevazione non esitò ad appellarsi “agli amatissimi tirolesi italiani” a testimonianza che in lui non c’era nessuna tentazione di tipo pangermanista.

Per chi oggi dice di rifarsi alle sue gesta suona come un avvertimento a non combattere un certo nazionalismo italiano utilizzando gli argomenti di un nazionalismo di segno contrario come quello tedesco poiché in fondo si tratta di due facce della stessa medaglia.

Come ha sostenuto lo storico Sergio Benvenuti quella di Hofer fu una guerra “per la difesa e conservazione di quei valori tradizionali del cattolicesimo che la popolazione, sia tedesca che italiana, del Tirolo vedeva minacciati dal giacobinismo rivoluzionario e dal riformismo illuminato del governo bavarese.” Da questo punto di vista sembra quantomeno strano vedere in questi ultimi anni i sedicenti epigoni dell’eroe della Val Passiria, seduti accanto ai neo giacobini della sinistra nel governo delle amministrazioni locali e condividerne financo le idee più ostili alla tradizione cattolica.

Ancora ai nostri giorni la convivenza tra il gruppo italiano e quello tedesco non è delle più facili e ora paradossalmente succede che siano gli italiani a lamentarsi e sentirsi svantaggiati rispetto ai tirolesi di lingua tedesca ai quali rimproverano una certa arroganza e un atteggiamento prevaricatore nei loro confronti. Insomma, le scorie del passato sembrano ancora lontano dall’essere smaltite e la soluzione del problema appare sempre più legata al futuro assetto del nostro Continente.

L’auspicabile realizzazione di un’Europa dei popoli, tanto invocata dagli stessi irredentisti tirolesi, sarà possibile solo a condizione di riconoscerne le radici cristiane e di rispettare l’identità, i diritti e la storia di ciascuna comunità. Partire da questi presupposti è l’unico modo per garantire un’autentica libertà per tutti i popoli che compongono il Vecchio Continente.



Massimo Scorticati



 




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