domenica 10 marzo 2019
Storia
I Patti Lateranensi
Novant’anni fa, precisamente l’11 febbraio 1929, fu sottoscritto uno storico accordo tra la Santa Sede e il governo del Regno d’Italia.

Il patto, che vide protagonisti da un lato il capo del regime fascista Benito Mussolini e dall’altro il segretario di stato vaticano cardinale Gasparri, fu siglato nel palazzo apostolico del Laterano, da cui il nome di “Patti Lateranensi”. Ricordare quest’evento non significa soltanto dare risalto alla ricorrenza di un’importante pagina di storia italiana ma anche e soprattutto fare luce sul discusso rapporto tra Chiesa cattolica e fascismo.

Preceduti da una lunga quanto laboriosa trattativa, i Patti lateranensi si sono articolati sostanzialmente in due parti. La prima parte consistette in un Trattato che poneva fine alla cosiddetta “Questione romana”, cioè alla situazione derivata dalla cancellazione dello Stato Pontificio da parte dei Savoia e dal conseguente status di “prigioniero” in Vaticano del Papa. Il governo italiano riconosceva la piena sovranità sullo Stato della Città del Vaticano mentre dodici edifici ecclesiastici di Roma e nelle vicinanze, tra cui tre basiliche maggiori, godevano del principio di extraterritorialità. A questo trattato seguiva una parte allegata in cui veniva stabilita una cifra di 750 milioni di lire e un capitale di un miliardo in titoli di stato quale indennizzo per i misfatti subiti dalla Santa Sede durante la Rivoluzione italiana, cioè il Risorgimento.

L’altra convenzione firmata l’11 febbraio era un Concordato tra la Santa Sede e l’Italia in cui si riconosceva il libero esercizio del culto cattolico in tutta la penisola, la libertà di comunicazione del papa e dei vescovi, l’esenzione dal servizio militare per i chierici ordinati e per i religiosi che avevano pronunciato i voti. Oltre a ciò venivano attribuiti effetti civili al matrimonio religioso; si definiva l’insegnamento della dottrina cattolica   “fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica” con l’istituzione di cattedre di religione nelle scuole medie e superiori. Il concordato assicurava poi l’introduzione di dieci giorni festivi stabiliti dalla Chiesa e riconosceva uno status legale all’associazionismo cattolico, sia pure a determinate condizioni. L’attività di questi movimenti doveva svolgersi infatti sotto la diretta dipendenza della gerarchia e al di fuori di ogni partito, dando luogo di fatto ad un azzeramento della funzione politica dell’Azione Cattolica

Non era questo l’unico condizionamento posto dal Concordato. C’erano delle vere e proprie note stonate quali l’obbligo di giuramento che i vescovi dovevano prestare al capo dello stato prima di prendere possesso delle loro diocesi. A ciò si aggiungano altre criticità come l’abolizione definitiva del foro ecclesiastico e soprattutto una sempre più forte ingerenza statale in campo educativo.

Quest’accordo rappresentò un notevole successo di immagine per Mussolini soprattutto a livello internazionale e giovò al consolidamento del regime. Anche la Chiesa tutto sommato beneficiò di non pochi vantaggi dagli accordi del Laterano potendo godere di una maggior libertà d’azione rispetto ai governi precedenti, anche grazie alla ritrovata sovranità territoriale.

La Chiesa aveva ottenuto un minuscolo stato di 44 ettari ma pur sempre necessario per edificare la propria missione spirituale. Pio XI usò l’espressione “il minimo corpo per contenere il massimo di spirito”. Proprio questa specificità della Chiesa come portatrice di valori spirituali e naturali e il loro radicamento nel popolo italiano ricevevano dallo Stato italiano un formale riconoscimento.

  Si tenga presente altresì che negli anni Venti i cristiani erano perseguitati in varie parti del mondo: dalla Russia alla Spagna, fino al Messico. In questo contesto la situazione italiana rappresentava un’eccezione perché Mussolini cambiò le sue iniziali posizioni anticattoliche per adottare una politica di conciliazione verso la Chiesa.

Sia il Trattato che il Concordato si basavano sul concetto di separazione dei due poteri, un’idea che risale addirittura a Papa Gelasio nel V secolo ed è recepita dall’articolo 7 della nostra Costituzione. Questo concetto di separazione non significa reciproca indifferenza tra Stato e Chiesa bensì stabilisce un vicendevole rispetto delle diverse competenze tra i due Poteri. Anzi è proprio questa distinzione tra l’autorità temporale e quella spirituale che toglie allo Stato la possibilità di ingerenze nella vita della Chiesa.

Fu perciò un patto di comune interesse per entrambe le parti. I due Poteri risultavano liberi e sovrani nel campo loro riservato. Lo Stato non discuteva le verità della Chiesa e rispettava quanto rientra nella giurisdizione ecclesiastica. La Chiesa, da parte sua, non si intrometteva su materie di esclusiva competenza dell’autorità statale.  

C’è da dire peraltro che entrambi i protagonisti del Concordato, Mussolini e Pio XI, dovettero fare i conti con le rispettive opposizioni interne. Il Duce subì le critiche dalla parte più intransigente del partito le cui posizioni erano spesso in contrasto con la dottrina sociale della Chiesa. Il filosofo Giovanni Gentile per esempio rimproverò a Mussolini di cercare un accordo con la parte morta del cattolicesimo mentre quella viva andava cercata tra i modernisti.

Da parte cattolica la risposta ai patti lateranensi fu piuttosto articolata. Se la maggior parte dei vescovi plaudì acriticamente al Concordato, negli ambienti del cattolicesimo integrale si sottolineò come la ritrovata libertà della Chiesa poteva costituire il trampolino di lancio per una nuova restaurazione cattolica. Una posizione quest’ultima che può essere esemplificata dalle stesse parole di Papa Ratti sull’accordo con il regime fascista: “Crediamo di avere con esso ridato Dio all’Italia e l’Italia a Dio”.

Molto diversa fu invece la reazione di quelle correnti del mondo cattolico che guardavano con simpatie alle idee liberali e moderniste o si riconoscevano nell’indirizzo politico democratico-cristiano. In questo caso le critiche furono piuttosto forti anche se non di rado prive di originalità e comunque espressione di una sostanziale subalternità culturale verso un mondo ostile alla Chiesa e al cattolicesimo.

Gli oppositori del Concordato rimproveravano alla Chiesa l’accordo con il Duce perché ciò avrebbe portato a una legittimazione del regime fascista e a un suo consolidamento. Ci si dimenticava però che il Vaticano per tutelare la propria libertà aveva stretto accordi con regimi molto più illiberali dello stesso fascismo. E se vogliamo, lo stesso discorso vale anche oggi per i concordati con tanti paesi nei cui ordinamenti si trovano leggi abominevoli a favore dell’aborto che prefigurano -queste sì- una vera e propria tirannia violando il primo diritto di ogni persona, quello alla vita.

Ma si sa che l’odio ideologico ha spesso il sopravvento e il Papa fu messo alla gogna da tutto un mondo politico e culturale ostile al cattolicesimo. In giornali di sinistra non era difficile leggere frasi come questa. “Il Vaticano è divenuto una semplice organizzazione di propaganda fascista”. Attacchi che spesso trovavano una sponda negli ambienti democristiani i quali rimproveravano al Papa anche il fatto di non essere intervenuto per salvare il Partito Popolare.

Differente era invece, almeno in teoria, la situazione delle organizzazioni cattoliche che, grazie al Concordato, avevano la possibilità di svolgere la propria missione in un regime che non garantiva la libertà di esprimersi liberamente e di organizzarsi dal punto di vista politico. Di fronte a un regime dittatoriale che per alcuni aspetti tendeva al totalitarismo e per questo cercava di occupare tutti gli spazi della vita associata, la Chiesa non fece altro che chiedere un proprio spazio di libertà e lo ottenne. Da questo punto di vista il Concordato fu una soluzione concreta, imposta da circostanze storiche particolari in cui la Chiesa cercò di salvare la sua stessa essenza ossia l’esercizio della sua missione spirituale.

Quello che non avevano fatto i governi liberali in sessant’anni di Stato unitario lo faceva il regime fascista presieduto paradossalmente da un ex socialista come Benito Mussolini. Pio XI non lo considerò “l’uomo della Provvidenza” come ancora oggi recita una pessima vulgata storica, bensì un uomo senza tutti quei pregiudizi ideologici verso la Chiesa e il cattolicesimo che fino ad allora non avevano portato ad alcuna soluzione.



Massimo Scorticati



 




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