mercoledì 18 luglio 2018
Politica e economia
Sanpietroburgo 17 luglio 1998
Venti anni fa i funerali dello Zar. Noi c’eravamo.

Nella notte tra il 16 e il 17 luglio 1918, a Ekaterinburg negli Urali, nella casa di Ipatev dove erano confinati, lo Zar Nicola II e i suoi famigliari venivano assassinati, per ordine di Lenin e Trozki, da una squadra della Ceka comandata da Jakob Mihailovic Jurovskij e composta da ex prigionieri di guerra austro-ungarici, perché le guardie rosse russe si erano rifiutate di eseguire il massacro. I loro corpi vennero poi sfigurati e dispersi perché non si sapesse della loro fine.

Il 17 luglio 1998, i corpi ritrovati venivano traslati e sepolti con onore a Sanpietroburgo, nella cattedrale della fortezza di San Pietro e Paolo, di la dalla Neva di fronte al Palazzo d’Inverno, dove riposano le salme della famiglia reale Romanov a Partire da Pietro il grande.

Noi, piccola pattuglia di redattori di Appunti, che allora da 5 anni usciva in forma cartacea quando poteva, eravamo li nei giardini prospicenti la fortezza, immersi nella varia umanità confluita chi per curiosità chi per rendere sentito omaggio all’ultimo degli Zar. Eravamo li quando la enorme e teatrale ciaika presidenziale portò Boris Eltsin, primo Presidente della federazione Russa, artefice della giornata, ad unirsi ai superstiti della famiglia Romanov e ai rappresentanti di molte famiglie reali europee per rendere omaggio alla solenne sepoltura dell’ultimo degli Zar. Aveva molto da farsi perdonare Boris Eltsin che aveva ordinato nel 1977, da segretario del partito comunista dell’Oblast di Sverdlovsk , la demolizione della casa di Ipatev  per evitare pellegrinaggi alquanto improbabili in piena era bresnieviana. Ed era una Russia molto diversa da quella di oggi quella che ci circondava. L’economia in rovina, le fabbriche chiuse e cadenti che costellavano i sobborghi industriali delle grandi città. La corruzione pervasiva, chi ancora lavorava costretto ad arrabattarsi perché per mesi gli stipendi non venivano pagati. Mendicanti ovunque, intere orchestre a suonare agli angoli delle strade per raccattare un obolo di sopravvivenza. Torme di ragazze, anche giovanissime, ad accapigliarsi nei locali notturni per accaparrarsi il turista di turno per una serata. Di contro l’arroganza dei profittatori della dissoluzione dell’URSS e dei boss mafiosi, spesso indistinguibili, che ostentavano senza ritegno ricchezze assurde se paragonate alla miseria diffusa. Frutto tutto questo dell’idea folle di trasformare in 1000 giorni 70 anni di socialismo reale in una economia di mercato. E infine la prostrazione di quello che era stato l’orgoglio della Russia sovietica, l’Armata Rossa già conquistatrice di Berlino nella “Grande guerra patriottica” e ora vergognosamente sconfitta nella prima guerra cecena. Per non parlare delle migliaia di ufficiali e sottoufficiali rientrati in patria dall’est europeo, dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia, e costretti con le famiglie in sistemazioni di fortuna in vecchie caserme fatiscenti quando non sotto le tende. Tra questi, ma più fortunato un ex colonnello del KGB di stanza in Germania est, un certo Vladimir Vladimirovic Putin. Da allora tutto è cambiato, come ho potuto constatare de visu in due diversi viaggi successivi, la Russia ha ripreso il suo ruolo nel mondo e i Russi stanno rientrando a tappe forzate nella prosperità. Artefice di tutto questo il Vladimir Vladimirovic di cui sopra in quel luglio 1998 sconosciuto ai più.

Oggi, nel centenario del martirio dello Zar, poi canonizzato dalla Chiesa Ortodossa, mi ritrovo a pensare che il miracolo che ha fatto risorgere la Russia nel breve spazio di 20 anni sia nato anche dall’omaggio che in quel giorno venne dato alle salme di Nicola II e della sua famiglia e dal favore che questa riscosse in cielo e provo orgoglio nell’avervi partecipato.

Massimo Granata

 




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