mercoledì 11 aprile 2018
Politica e economia
Un mostruoso “false flag” nel Ghouta Orientale…
o un mostruoso imbecille a Damasco?

Per parlare dei fatti che stanno avvenendo in Siria e che rischiano di innescare una delle più gravi crisi internazionale degli ultimi cinquant’anni dobbiamo fare un passo indietro e precisamente al 18 luglio 2012. Scatta infatti in quella giornata l’attacco dei ribelli anti-Assad (probabilmente coordinati da ufficiali francesi e britannici) contro la capitale siriana. L’attacco è preceduto da un attentato che uccide il Ministro della Difesa e molti importanti uomini dell’apparato di sicurezza. Successivamente formazioni di guerriglieri attaccano i quartieri centrali di Damasco cercando di impadronirsi dei centri di potere. La reazione dell’esercito siriano è però decisa e la popolazione civile, non solo non si schiera con i guerriglieri, ma anzi appoggia attivamente le operazioni dei militari di Damasco che, nel giro di pochi giorni riescono così a riprendere il controllo della capitale. I miliziani islamisti si ritirano, andando però ad occupare numerosi grossi centri nella periferia damascena: Darayya, Moadamyeh, Deir Al Asafir, Adra e tutta la regione conosciuta come Ghouta Orientale (una sorta di Brianza siriana) con i centri di Irbin, Harasta, Misraba e, soprattutto Douma. Da questi centri, a partire dal mese di agosto 2012, con cadenza quotidiana i ribelli iniziano a bombardare i quartieri centrali di Damasco colpendo con particolare frequenza quello, a prevalenza abitato da cristiani, di Jaramana.



Si calcola che in sei anni le vittime di questi bombardamenti siano state circa diecimila. Ogni tentativo dell’esercito siriano di riprendere il controllo di questi centri fallisce a causa dell’accanita resistenza dei miliziani i quali, nel frattempo, hanno arrestato migliaia di persone (scelte tra gli esponenti delle minoranze non sunnite e tra i sospetti sostenitori del regime) e le hanno costrette a scavare delle vere e proprie città sotterranee fatte di cunicoli lunghi anche decine di chilometri, di bunker, di ospedali da campo, di depositi di munizioni e di prigioni con annesse camere di tortura. Ogni volta che reparti dell’esercito regolare riescono ad entrare in alcuni dei centri occupati si vedono attaccati alle spalle dai miliziani che sbucano dalla rete di tunnel e cunicoli e devono quindi ritirarsi spesso dopo aver subito perdite dolorose. La situazione rimane in uno stato di stallo fino alla fine del 2015: l’esercito non riesce a riconquistare i centri controllati dai miliziani i quali, a loro volta, non sono nelle condizioni per ritentare un assalto alla capitale.



L’intervento della Russia modifica i rapporti di forza sul terreno. Non solo per l’appoggio aereo che Mosca garantisce all’esercito siriano (una trentina di aerei non possono da soli modificare l’andamento di una guerra), ma soprattutto perché riorganizza le forze armate di Damasco creando unità più mobili, adatte alla controguerriglia e guidate da ufficiali che hanno ben figurato sul campo. E’ il caso della famosa Forza Tigre che ha vinto praticamente tutte le battaglie a cui ha preso parte, da Aleppo a Deir Ezzor. L’esercito siriano può così avviare la lentissima riconquista delle posizioni perdute intorno alla capitale. Agli inizi del 2018 ai miliziani islamisti è rimasto il controllo solo di due sacche: una a sud di Damasco e costituita sostanzialmente dal campo palestinese di Yarmouk. L’altra, vasta circa un centinaio di chilometri quadrati, rappresentata dalla già citata regione del Ghouta Orientale. In particolare quest’area appare di particolare importanza strategica perché permette alle formazioni islamiste di colpire ogni quartiere di Damasco e costringe l’esercito siriano ad impegnare grossi contingenti di forze (sottraendoli ad altri fronti) per impedire puntate offensive verso il centro della capitale (in alcuni casi i miliziani del Fronte Al Nusra e di Jaish al Islam sono arrivati a due chilometri dal palazzo presidenziale). Alla fine di febbraio di quest’anno pertanto l’esercito siriano schiera intorno alla sacca del Ghouta alcuni dei suoi reparti migliori (tra i quali la Forza Tigre). L’offensiva scatta il 25 febbraio ed ha successo. Le difese dei due principali gruppi armati islamisti (Jaish al Islami e Ahrar al Sham) sono sfondate in più punti e, nel giro di un mese il 90% del Ghouta orientale ritorna sotto il controllo di Damasco. Rimane però da conquistare il centro più importante, Douma, presidiato dalla formazione più radicale tra gli islamisti Jaish al Islami. Con la mediazione dei russi, che hanno appoggiato in maniera determinante l’offensiva con l’aviazione e, probabilmente con un intervento diretto sul terreno, si cerca un accordo anche per limitare le perdite tra la popolazione civile che, almeno in parte, è ancora intrappolata nel centro abitato. Dopo alterne vicende l’accordo viene raggiunto e gli uomini di Jaish al Islami si dichiarano disponibili a lasciare Douma, a liberare i loro prigionieri ed a consegnare le armi pesanti in cambio di un salvacondotto che permetta loro di raggiungere una regione della Siria controllata da formazioni islamiste. Proprio nelle ultime ore prima della proclamazione della tregua viene segnalato un attacco con gas al cloro contro un ospedale di Douma che avrebbe fatto almeno cento morti (il condizionale è d’obbligo perché nessuna fonte indipendente ha potuto verificare cosa effettivamente sia successo). Dell’attacco viene immediatamente incolpato il Presidente siriano Assad e tre potenze occidentali (USA, Francia e Gran Bretagna) minacciano quell’intervento militare che oggi sta tenendo il mondo con il fiato sospeso e che ha innescato una tensione internazionale con possibili sbocchi apocalittici. Stranamente però il famoso Osservatorio per i Diritti umani in Siria che ha sede a Londra e , dall’inizio della guerra, ha appoggiato ogni campagna contro il Governo siriano non si unisce al coro degli accusatori di Assad e, nei suoi bollettini, non menziona l’attacco con i gas. Forse perché si rende conto di quanto debole sia la narrativa di tutti i media occidentali.



L’attacco con i gas, ammesso che sia realmente avvenuto, potrebbe avere tre possibili spiegazioni:



1) la fazione di Jaish al Islami contraria all’accordo di resa ha cercato con questa operazione “false flag” di farlo saltare. Peraltro i servizi d’informazione russi avvertivano da giorni che i miliziani islamisti del Ghouta stavano preparando una grossa provocazione utilizzando gas a base di cloro.



2) un incidente tecnico mentre i miliziani tentavano di far sparire i contenitori del gas prima di arrendersi. Più volte l’esercito siriano ha scoperto, dopo la riconquista di quartieri e città, delle fabbriche di ordigni caricati con i gas a base di coloro. La strana posizione dell’Osservatorio per i diritti umani in Siria potrebbe avvalorare questa interpretazione.



3) Bashar Assad ed i suoi collaboratori sono impazziti ed hanno deciso di suicidarsi.



Rimane il fatto che per un episodio di cui, allo stato, non si sa nulla qualcuno sta minacciando di far esplodere un conflitto che potrebbe porre termine alla nostra civilizzazione.



Maria Regina della Pace prega per noi.



Mario Villani




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